Il Presidente Spirlì e la scuola “buffet”


Spettabile Redazione,
scrivo questa lettera aperta, approfittando nuovamente della vostra gentilezza, pur consapevole che i cittadini soveratesi, e calabresi, possano serenamente fare a meno di leggere ciò che penso sull’argomento scuola. Mi preme, tuttavia, fissare alcuni paletti in un dibattito pubblico -quello sulla scuola, appunto- che sta diventando surreale.

Lo devo ai miei studenti, ai loro genitori e all’istituzione che rappresento in quanto insegnante. Non mi sento uno dei sette savi, sono soltanto un professore che ancora ci crede, forse invano. Verrò subito al punto. Il principale responsabile della deriva cui si assiste ha, perlomeno in Calabria, un nome e un cognome: Nino Spirlì, Presidente facente funzioni della Giunta Regionale. Costui, imbonendo i calabresi con le innumerevoli bestialità che ciclicamente dispensa durante le sue dirette Facebook, da settimane non fa che avvelenare il clima attorno al tema della sospensione delle attività didattiche in presenza.

Forse gioverà un breve riassunto. Il Presidente f.f. ha iniziato una ventina di giorni fa, schiumante di rabbia per l’accoglimento da parte del TAR del ricorso di alcuni genitori contro la sua ordinanza, accusando questi genitori di essere parte di un “complotto” per mandare i ragazzi a scuola! Già qui, appena avremo smesso di ridere, dovremmo fermarci a riflettere. Personalmente, prima di quell’episodio, quando pensavo a un complotto immaginavo Maria Stuart che brigava per rovesciare Elisabetta I e riportare l’Inghilterra all’obbedienza cattolica, oppure il generale De Lorenzo che macchinava per mettere “sotto tutela” la democrazia italiana negli anni ’60.

Cose del genere insomma. Mai avrei pensato che servisse un complotto per garantire ai ragazzi un diritto che la stessa Costituzione garantisce loro. Complotto, tra l’altro, ordito con la complicità di TAR e Consiglio di Stato. Non contento, il massimo rappresentante di noi poveri calabresi ha rincarato la dose, accusando, con fare intimidatorio, questi genitori di “non metterci la faccia”. Giova ricordare che i nomi dei ricorrenti in un procedimento amministrativo non sono segreti come quelli dei membri di una loggia massonica.

Un tribunale è, anzi, luogo pubblico per eccellenza. Basterebbe già questo per riconoscere la totale inadeguatezza del personaggio a ricoprire il compito cui è stato chiamato dalle tragiche vicende che tutti conosciamo. Purtroppo però il facente funzioni, lungi dall’attenuare i toni, ha continuato fino a oggi ad aizzare i “genitori responsabili” contro quelli “irresponsabili”, giocando sulle loro paure, presumibilmente a fini elettorali. Intendiamoci, le paure dei genitori sono più che legittime. Io stesso sono genitore. Mio figlio ha due anni e va al nido. Avrei tutte le possibilità di tenerlo a casa, ma assieme a mia moglie abbiamo deciso di mandarlo lo stesso, per garantirgli quella socialità e quelle attività “tra pari” che riteniamo essere essenziali nella formazione, fin dalla più tenera età. Questo non significa che non abbiamo paura. Significa soltanto che pensiamo che la scuola, per ciò che dà a nostro figlio, “valga” questo rischio. Rispetto chi la pensa diversamente da me e non manda (o non vorrebbe mandare) i propri figli a scuola. Vorrei che, allo stesso modo, Spirlì rispettasse me e quelli che la pensano come me.

Invece, proprio oggi, l’ennesima improponibile sequela di orrori sulla scuola del nostro f.f. mi ha fatto capire che tale mia aspirazione al rispetto è destinata a rimanere delusa. Nell’annunciare la sua intenzione di “copiare” i suoi illustri colleghi Emiliano e De Luca, emanando un’ordinanza che permette ai genitori di scegliere se mandare i figli a scuola o farli continuare con la didattica a distanza, Spirlì ci ha informato che “come esistono gli acquisti a distanza, così si può fare la didattica a distanza”. Permettetemi a questo punto di esaminare la questione in maniera un po’ più analitica, e perdonatemi una punta di pedanteria.

Del resto se di medicina è giusto che parlino i medici, di economia gli economisti, sarebbe forse il caso che di scuola parlino un po’ di più gli insegnanti. Iniziamo dalla fine. Sul paragone tra shopping online e DAD faccio davvero fatica a esprimermi. Senza buttarla troppo sull’antropologico, mi limito a dire che un’aberrazione del genere è rivelatrice del sostrato culturale del nostro Presidente f.f. e della sua Weltanschauung. Per lui l’attività del formarsi e quella del comprare un paio di scarpe su Zalando sono perfettamente sovrapponibili.

È rivelatrice, inoltre, di una profonda ignoranza della materia. Il sospetto che Spirlì non sappia neanche, concretamente, cosa sia la DAD, è forte. Io e i miei colleghi che, da marzo scorso, la garantiamo agli studenti italiani, invece sappiamo perfettamente cos’è. È un utilissimo strumento integrativo, con buone potenzialità, ed è stata un baluardo a difesa dell’esistenza stessa della scuola nei mesi bui del lockdown totale di primavera. Ma non è la scuola vera. Ha dei limiti strutturali (e non parlo della potenza della fibra) che non le consentono di sostituire la normale didattica in presenza, a dispetto di quanto vorrebbe far credere Spirlì ai genitori terrorizzati.

Del resto basta informarsi un po’: la rete è piena di allarmi lanciati da psichiatri, psicologi, pedagogisti ed altri esperti sui pericoli di un ricorso prolungato alla DAD. Forse, tra un virologo e un infettivologo, varrebbe la pena ascoltare anche loro. Chi lavora sul campo il disagio dei ragazzi lo tocca con mano ogni giorno. E vi posso assicurare che gli adolescenti, cui io insegno, non soffrono meno degli altri. Una società isterica, illusa dal mito dell’eterna giovinezza e delusa dall’amara scoperta che si può ancora morire, li ha bollati come gli untori del nostro tempo, e loro cadono uno dopo l’altro sotto i colpi delle crisi d’ansia e della depressione. Molti di loro a scuola non vogliono neppure tornare. Dicono che hanno paura. Poi però riempiono le piazze e i giardini dei nostri paesi e delle nostre città senza mascherine e senza distanziamento. Se non è spia di un disagio questa, ditemi voi cosa lo è. Tra di loro ce ne sono alcuni più fragili di altri, quelli con disabilità.

Per quelli Spirlì ha la soluzione: loro possono andare a scuola! Sarei curioso di sapere da lui quale beneficio possa trarre un ragazzino con autismo dal frequentare un’aula vuota. Forse potrei chiederlo a uno psicologo, o a un insegnante di sostegno. Ma non vale la pena, non si parla mica di Rt, si parla di scuola, e di scuola possono parlare tutti come se fossero degli esperti, perfino Spirlì. Con questo non voglio dire che la didattica debba essere in presenza a dispetto di tutto. Sento spesso dire, da virologi e infettivologi vari, che “questa è una guerra”.

Uno di quelli che lo ha ripetuto più spesso è il Professor Massimo Galli, forse il principale promotore del comitato “scuole chiuse”, citato tra l’altro da Spirlì a sostegno delle sue posizioni. Vorrei ricordare, da storico di formazione, che durante l’ultima guerra mondiale le scuole rimasero aperte, pur a singhiozzo e nel generale disagio, perfino nelle città oggetto di ciclici bombardamenti alleati. Questa circostanza dovrebbe indurre il Professor Galli quantomeno a cambiare metafora! Detto ciò, io sono dell’avviso che se le condizioni epidemiologiche lo impongono, la scuola si può anche chiudere per il tempo che serve. Anzi, si deve chiudere per il tempo che serve.

Quello che non posso accettare è che si chiuda sulla base di ipotesi, di correlazioni ipotetiche, lasciando nel frattempo aperto tutto il resto, e che contestualmente si imbrogli la gente spaventata dicendo che tanto la DAD è la stessa cosa. Lo dirò senza mezzi termini: solo un ignorante o un imbroglione può affermare una cosa del genere. Purtroppo, sulla base di questa enorme menzogna, Spirlì annuncia, proprio oggi, che sta per emulare il “governatore” De Luca. De Luca, lo ricordo, è quello che qualche tempo fa in una diretta Facebook ha preso in giro una ragazzina che piangeva perché non poteva andare a scuola, dicendo che era l’unica al mondo e che la madre l’aveva cresciuta con gli OGM.

Lo ricordo così, giusto per richiamare l’alto spessore culturale e umano del personaggio. Il suo omologo calabrese, ovviamente, pensa bene di imitarlo, lanciando anche qui da noi la scuola “buffet”: si ordina quel che si vuole, e chi gradisce consuma sul posto, mentre chi lo ritiene asporta. Vorrei davvero che ci si soffermasse sulla portata devastante di questa trovata. La scuola non è un cinema o un ristorante, nel quale si va se lo si desidera, altrimenti no. La scuola è un diritto, ma è anche un obbligo. Uno Stato democratico funziona, parafrasando Dewey, soltanto se i suoi cittadini sono educati. Deve quindi pretendere che i suoi giovani si formino e si educhino nel miglior modo possibile! Se i dati scientifici consentono la didattica in presenza, tutti devono andare a scuola, perché è quello il miglior modo possibile! Altrimenti tutti quanti si accontenteranno della DAD fin quando sarà necessario!

La concezione “privatistica” dell’istruzione come affare sottoposto ai “desiderata” delle famiglie, l’idea della scuola “buffet”, è quanto di più barbaro sia stato partorito negli ultimi tempi. La formazione è un bene comune! Lo Stato assicura l’istruzione a tutti perché vuole qualcosa indietro: un uomo adulto e un cittadino responsabile. Nessuno può esimersi senza porsi virtualmente fuori dalla comunità. In un paese veramente civile se la scienza dice che la scuola chiude, allora la scuola chiude. Se lo dice il “governatore” in cerca di facili consensi o il genitore apprensivo, la scuola resta aperta. Nel modo più utile possibile in base alle circostanze, ma per tutti.

Giuseppe Iozzo
Insegnante di filosofia e storia presso il Liceo Classico “P. Galluppi” di Catanzaro