Incendi e indagini, e abbandono del territorio


 Ieri, domenica 22, è toccata ad Argusto; ed è occorsa un’intera giornata, per spegnere l’incendio; se è spento. Domani… 

 L’autocombustione non esiste, o in casi rarissimi. Il piromane è un’invenzione giornalistica, e se è un matto, al più brucerebbe cartacce. Il fuoco viene appiccato a bella posta, e con delle precise tecniche; perciò l’incendiario non è uno sbandato o drogatello o emarginato, ma uno che ci sa fare, del mestiere.

 E comunque, da buon reazionario, non mi curo minimamente delle responsabilità personali: se condannate un Tizio (dopo otto gradi di giudizio, ovvio) per rieducarlo ai sensi della cost, o lo gettate vivo alle murene, la faccenda mi lascerebbe indifferente in modo identico. Io voglio sapere perché lo fa, e il “cui prodest”: a chi giova, quindi chi lo incarica e chi lo paga.

 Che ci sia un qualcosa che collega tutti gli incendi, non lo dovrebbe negare nemmeno il più incallito e ingenuo garantista. Cosa sia, è compito di chi di dovere: forze dell’ordine e magistratura. A stamani, 23, non ho notizie di arresti: ma forse mi saranno sfuggite.

 Passiamo alla precausa: l’abbandono del territorio, che favorisce ogni disastro sia di fuoco sia di acqua sia di cinghiali. Le campagne sono deserte, o, nel caso meno peggiore, trascurate. E la cosa dev’essere ancora più grave per i boschi.

 Analisi storica e sociologica. Il “pezzicerhu da terra”, il πετζή (pezzì), di Niceforo II Foca (961-9) dava da vivere alle famiglie, che ne ricavavano la sussistenza sia lavorandolo come unità produttiva, sia collaborando con i vicini. I pezzettini costituirono dunque sia una salda e funzionante linea di difesa contro i Saraceni, sia un sistema di produzione e scambio di frutti e lavoro. 

 Tutto questo, nell’ultimo mezzo secolo, è scomparso. Ed io vi giuro, estratto catastale alla mano, essere vero alla lettera quanto sto per dire. Un terreno con me confinante misura, letteralmente, 196 metri quadri; ed è intestato a sei (06) proprietari, una delle quali risulta nata nel 1917, quindi, con ogni probabilità, avente da un pezzo lasciato eredi. Se volessi comprarlo, dovrei riunire i proprietari in una sala congressi! Ma essi sono chissà dove, e non verrebbero certo a trattare con me l’acquisto di tanto bene! 

 Urge un provvedimento radicale. Per quanto mi riguarda, mi basta fare appello al principio della “funzione sociale della proprietà”, per affermare che chi abbandona la terra la deve di fatto perdere. Come fare, è presto detto: obbligo di affittarla a chi la coltiva, in cambio di 01 € l’anno, giusto per riconoscere nominalmente la proprietà. Nel caso dei 196 mq, credo sia sufficiente un centesimo; ma do lo stesso l’euro ai titolari, e si scannino pure tra loro per la suddivisione.

 Quanto al bosco, immagino che i proprietari siano tutti vecchissimi, o, gli eredi, altrove; e quindi le condizioni di pulizia e ordine siano disperate. Sarei poi curioso di sapere se gli alberi valgono qualcosa, e come vengono utilizzati, e sono certo che riceverei risposte desolanti.

 Riassunto: catturare l’incendiario e convincerlo gentilmente a raccontare chi l’ha mandato; stroncare la rete di interessi; riordinare l’assetto del territorio per prevenire.

 A proposito: per prevenire, cosa fanno Stato, Regione, Protezione Civile, Forze dell’ordine, giudici, eccetera? Rispondetemi seriamente, vi prego.

Ulderico Nisticò