Si è conclusa la fase delle indagini preliminari sull’inchiesta che ha sconvolto l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, rivelando presunti maltrattamenti su animali utilizzati nei laboratori di ricerca e una complessa rete di illeciti. Sono ben 32 le persone per le quali la Procura ha chiuso le indagini, un passo che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
L’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza, ha portato alla luce un quadro agghiacciante di gravi irregolarità. Le accuse contestate agli indagati, che includono docenti universitari, ricercatori e dirigenti dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Catanzaro, vanno dal maltrattamento e uccisione di animali, alla truffa aggravata ai danni dello Stato, corruzione, falso e associazione a delinquere.
Secondo quanto emerso dalle indagini, all’interno degli stabulari universitari, i laboratori scientifici adibiti alla sperimentazione animale, sarebbero avvenuti episodi di inaudita crudeltà.
Centinaia di cavie sarebbero state maltrattate o sacrificate senza le dovute autorizzazioni e in condizioni igieniche e ambientali precarie, ben lontane dagli standard minimi previsti dalla normativa vigente. Si parla di animali torturati e uccisi con metodi inumani, e in alcuni casi, addirittura decapitati.
Un aspetto centrale dell’inchiesta riguarda le “false ispezioni” e le “ispezioni pilotate” che sarebbero state condotte dall’ASP di Catanzaro. Queste ispezioni, anziché garantire il rispetto delle normative sul benessere animale e la correttezza delle procedure di ricerca, avrebbero avuto lo scopo di coprire gli abusi e permettere all’Università di ottenere fondi pubblici per la ricerca in modo illecito.
La falsificazione dei risultati scientifici derivanti da queste ricerche avrebbe ulteriormente aggravato la situazione, minando l’attendibilità degli studi condotti.
L’operazione, che in una fase precedente aveva portato a 11 arresti domiciliari, tra cui anche l’ex rettore dell’Ateneo, e a 21 avvisi di garanzia, ha visto anche il sequestro preventivo di due stabulari dell’Università e di somme di denaro che ammonterebbero ai presunti proventi delle attività illecite.
Numerose associazioni per la protezione degli animali, tra cui la LAV (Lega Anti Vivisezione) e la LNDC Animal Protection, hanno espresso profonda indignazione e sconcerto per quanto emerso, dichiarando la loro intenzione di costituirsi parte civile nel processo.
Sottolineano l’inaccettabilità di tali pratiche in un contesto accademico che dovrebbe promuovere l’etica e il rispetto della vita, e ribadiscono l’urgenza di abolire la vivisezione a favore di metodi di ricerca alternativi.
La chiusura delle indagini rappresenta un passo significativo verso il processo, che dovrà fare piena luce su questa drammatica vicenda e accertare le responsabilità dei 32 indagati, per garantire giustizia agli animali coinvolti e ripristinare la fiducia nelle istituzioni scientifiche.