A Soverato, il Dottore Errico è più di un semplice medico: è un punto di riferimento per gran parte della comunità che, grazie alla sua umanità e alla dedizione con cui si prende cura dei pazienti, vede in lui non solo un professionista, ma anche una guida.
Abbiamo avuto l’opportunità di incontrarlo per parlare del suo lavoro, del suo rapporto con i pazienti e dei suoi interessi.
Dottore Errico, molte persone la definiscono un esempio per la dedizione e l’empatia che mostra ogni giorno nel suo lavoro. È orgoglioso di essere diventato un punto di riferimento per Soverato e dintorni?
“Sono grato per queste parole, ma non penso in questi termini. In ogni caso non comprendo mai fino in fondo il motivo di questa gratitudine, faccio esattamente la stessa cosa che fa ogni mio collega, qui a Soverato ad esempio Maria e Attilio sono stati e sono tuttora una guida per molti aspetti. In ogni caso secondo me bisogna smetterla di etichettare tutto, “guida”, “punto di riferimento”, diciamo solo medico, dalle mie parti si dice “ne devi mangiare di pastasciutta”.
“Nella vita non importa chi sei diventato, quanto guadagni, quanto tempo dedichi al lavoro o quanto sei importante nella società in cui vivi. Quello che conta davvero emerge in momenti che spesso ignoriamo, fino a quando non ci troviamo faccia a faccia con il tempo che si accorcia. Quando ti rimane poco tempo, non chiedi di vedere la tua laurea appesa al muro, né il tuo conto in banca, né le persone che ti stimano per ciò che hai fatto professionalmente. In quei momenti desideri solo vedere chi ami”.
“Sogni di poter guardare ancora una volta i tuoi genitori, se sono ancora accanto a te. Vuoi la presenza della persona che ami. Vuoi stringere le mani di chi ti è caro. Ti vuoi guardare allo specchio e non pensare di aver sprecato la tua vita”.
Le sue parole, intrise di una profonda sensibilità, ma al tempo stesso forte rabbia aprono uno spiraglio sulla filosofia che guida il Dottore Errico non solo come medico, ma come essere umano. Gli chiediamo di raccontarci di più su ciò che gli ha insegnato la vita, e la sua voce si fa ancora più intensa.
C’è qualcosa nella sua vita personale che l’ha portata a riflettere su questo aspetto?
“In realtà ci sono tanti episodi, questa è una domanda sciocca e non credo di essere la persona più adatta a rispondere.”
Non so, magari ha un episodio recente da raccontare che l’ha portata a riflettere?
“Ognuno di noi ne ha, cosa devo dirle, purtroppo mio padre ha perso da poco una sorella. È un dolore che, anche se appartiene alla mia famiglia, mi ha toccato profondamente. Stare accanto a mio padre in questo momento mi ha ricordato che “vivere” non è essere sempre immersi nel fare. Vivere è essere presenti, condividere il dolore e l’amore, dare importanza al tempo passato con chi amiamo. Non c’è nulla di più reale e autentico di questo.”
E questo come influisce sul suo lavoro con i pazienti?
“Credo che ogni paziente non sia solo una cartella clinica, ma una persona con una storia, una rete di affetti e paure. Ogni giorno cerco di ascoltarli più che sentire cosa hanno da dire. La medicina non è solo scienza, da cui non si può ovviamente prescindere, ma anche vicinanza umana. Non importa solo quante diagnosi azzeccate fai, importa anche quanto fai sentire l’altro meno solo nel suo cammino. E c’è una cosa che dico spesso ai miei pazienti: non abbattetevi mai”.
“Qualunque cosa accada, siete vivi. Per quanto un ostacolo possa sembrare insormontabile, è importante essere positivi. Con la positività, anche le cose più brutte si possono superare.”
Mentre ci congediamo, il Dottore Errico ci lascia con una riflessione che resta impressa: “Alla fine della vita, ciò che conta è l’amore che hai dato e ricevuto. Tutto il resto svanisce.”
Alla domanda di un pensiero speciale per i suoi pazienti il dottore risponde “in questo momento penso in particolare a Stefano, non è un mio paziente ma ormai parte della mia famiglia, un ragazzo a cui auguro ogni bene.”
A Soverato, grazie al Dottore Errico, molti hanno riscoperto quanto possa essere potente e curativa non solo la medicina, ma l’umanità di chi la pratica.
Maria Zoleo