Isotta Fraschini truffe e utopie


 È stato dichiarato, nel gennaio del 2020, il fallimento ufficiale dell’Isotta Fraschini, famosa fabbrica che iniziò il suo nulla eterno nel 1990: doveva produrre auto da trecento milioni di lire l’una (€ 150.000), e non produsse mai nemmeno un carrettino di pale di fico d’India. Però costò un mare di soldi allo Stato e alla Calabria; e fece volare stormi di illusioni nelle sempre utopistiche menti degli intellettuali calabresi; e piogge di soldi nelle tasche di parecchi, intellettuali inclusi.

 Per i più giovani. Allo scopo di gabbare la rivolta di Reggio del 1970, stroncata ma non sopita, il socialista Giacomo Mancini promise il Quinto Centro Siderurgico con diecimila (10.000!) posti di lavoro. Bum! Era una bufala pazzesca, e già nel 1977 si seppe che era un falso. Una manifestazione del MSI, cui mi onoro di aver partecipato in primissima fila, venne repressa da tremila (3000) agenti, mandati da Cossiga. Insomma, palese truffa. Tristano e Isotta, Isotta e tristezza.

 Dopo altre promesse fasulle, spunta l’Isotta: grande capannone, cerimonie, articoloni sui giornali… E andò a fare compagnia a SIR, Saline.

 Poi dissero che la Lamborghini… no, stavolta niente auto, doveva produrre maxitrattori a Cutro; e nemmeno fece  un aratro di legno trainato da buoi tipo Romolo e Remo! Nell’antica città doveva arrivare anche una fabbrica russa, che invece sta solo russando. Eccetera.

 E vi ricordate la fabbrica crotonese di palline, “il tennis europeo parla calabrese”? Evitiamo battute triviali. E la birra? Le birre! Scusate se non ricordo altro.

 Ah, sì: un anno ci dissero che la Calabria deteneva il primato nazionale per nascita di nuove imprese; dopo dodici mesi esatti si seppe che ne era rimasta una (01, contata).

 Ora, seguite questo ragionamento. Se capita una volta, ed è un caso; due volte, è un errore; tre è un vizio… Ma se capita decine di volte, allora non è né vizio né errore né caso: è un sistema.

 Sistema. Io chiedo finanziamenti per una fabbrica di bolle di sapone. Ho l’amico a Catanzaro, uno a Roma, uno a Bruxelles: me lo danno. Spendo due lire per il capannone prefabbricato con dentro un vuoto che manco Torricelli se lo immaginò mai. Inaugurazione solenne con autorità civili, religiose e militari, bene inteso davanti al portone chiuso peggio delle mura di Troia ante cavallo. Segue abbandono del capannone. Ecco il sistema. Intanto però si pagano i progetti dei professoroni, i convegni, le cene, le interviste genuflesse, i viaggi studio a Tokyo amanti incluse… Danzano soldi per diversi amici, il resto s’intasca, e via.

 La magistratura in genere, e la Corte dei conti in specie, recitano la parte di Aligi che dormì settecent’anni.

 Se io fossi… se io fossi il prefetto o il vescovo invitato alla cerimonia di cui sopra, sapete che farei? Farei così. Immagino il vescovo, che mi viene meglio. Quando l’imprenditore mi chiede di benedire, io, mitra in testa (mitra vescovile, che avete capito?), direi: “Figliuolo, desidero benedire i macchinari. Apriamo la porta”. Il figliuolo (di chi, lo sapete) balbetterà che i macchinari arriveranno… boh, il prossimo mese. Io, levata la mitra, risponderò: “Figliuolo, ci rivediamo quando arrivano, e se no, no”. Segue mia telefonata all’ANSA e roba del genere. Grande scandalo a livello nazionale; ma, per dirla in linguaggio evangelico, “oportet ut scandala fiant”. Gli scandali fanno bene!

 Invece, fanfara, benedizione, retorica alla “finalmente finisce il sottosviluppo della Calabria”, tutti contenti, e a casa. Questa è la Calabria, ragazzi; altro che colpa degli Spagnoli, dei Borbone, di Garibaldi: la colpa è tutta indigena, tutta nostra, tutta calabrese.

 Da un’operazione come l’Isotta guadagnano tutti, in percentuale: politicanti, intellettuali, invitati; e, secondo i casi, anche la mafia.

 Ma se io fossi il presidente della Giunta e qualcuno mi proponesse un’Isotta in Calabria, io chiamerei subito i Carabinieri. E direi che con i soldi che vuole frodarmi, io aprirò numerose piccole aziende dove si lavori davvero: lavoro, nel senso di fatica.

 Ora è inutile processare e condannare i lestofanti isotteschi: o sono morti, o sono scappati tipo Rovelli in Libano, o sono troppo vecchi per la galera. E anche se li garrotassero in piazza, sarebbe divertimento di mezzora.

 Ma che almeno l’ignobile bufala dell’Isotta Fraschini, e compagnia brutta, ci serva da lezione.

Ulderico Nisticò