Kobe Bryant: “a 9 anni un fenomeno sui campi calabresi”


 

Piccolo ma già grande. Kobe Bryant, per chi lo ha conosciuto nei suoi anni italiani, era un fenomeno a 9 anni e un campione della vita. Capace di ricordarsi di una vecchia conoscenza calabrese quando era gia’ stella assoluta tra Nba e Hollywood, con un affettuoso messaggio di ‘happy birthday’ e diverse altre attenzioni personali, nel nome del suo amore per l’Italia e della sua infanzia felice.

Sui playground della provincia calabrese Kobe Bryant era già una leggenda locale a soli nove anni. Alla fine degli anni ’80 il padre Joe giocava nella squadra della Viola di Reggio Calabria in serie A e lui invece militava nella formazione giovanile. E chi lo incrociò allora capì subito che la palla a spicchi, pur nei polverosi campi periferici, era già affar suo.
Joe Bryant era una macchina da canestri infallibile per la Viola guidata nella stagione 1986-1987 da un genio assoluto del basket locale Santi Puglisi. In campo due leggende, Bryant senior e Kim Hughes.

Durante gli allenamenti, a bordo campo, c’era sempre un piccoletto (si fa per dire) di 9 anni che faceva impazzire tutti. Non c’era volta che, quando il pallone rotolava dalle sue parti, lui non lo prendesse. Poi si produceva in ‘numeri’ memorabili. E se era vicino al canestro? Tirava, tirava e soprattutto segnava, eccome se segnava. Il coach s’infuriava, probabilmente perché quegli episodi bloccavano i suoi intensi allenamenti e ‘distraevano’ tutti. Insomma era un vero spettacolo. E la stessa cosa si ripeteva anche negli intervalli delle partite di campionato.

Tutti i giovanissimi si divertivano a far rotolare quella palla, a tirare, segnare e poi volgere lo sguardo verso i genitori. Lui, Kobe, era il più bravo. Anche lui si volgeva verso gli spalti, e in assenza del papà -che si trovava negli spogliatoi- incrociava lo sguardo orgoglioso della sua bellissima madre.

Nel 1987, Kobe, a solo 9 anni, scese in campo con il suo gruppo di ragazzini nel mitico Scatolone di Palmi, al tempo ‘teatro’ delle gesta di una squadra che si affacciava nel basket che contava. Un sabato come tanti, la partita giovanile di cartello: Palmi contro Viola. Nel primo pomeriggio, dalla porta della palestra entrarono i giovanissimi reggini e, ultimo della fila, c’era proprio lui: Kobe Bryant.

Una partita vera che scivolò via come un fulmine; tutti a guardare le gesta di quel piccoletto che incantava, trattava la palla come pochi (anzi, come nessuno) e segnava canestri su canestri. “Ma come si ferma? – domandò un cestista in erba palmese – Bisogna menargli?”. E la risposta del suo istruttore: “Ma che dici? Guarda e impara!”. E alla fine della partita, tutti a fare i complimenti a colui che, dopo pochi anni, sarebbe diventata una star, una leggenda del basket capace di vincere due Olimpiadi e 5 Anelli Nba. Adesso, la storia di quel ragazzino, dopo anni esaltanti, dopo una vita nel basket che conta, è diventata una tragedia. E anche la Calabria, un pezzo dell’Italia che era rimasta nel cuore di questo grande campione, piange e ricorda un bimbo piccolo ma già grandissimo sul playground. (Ansa)