La battaglia del grano: ovvero, diamo la terra ai contadini


 Tranquilli, antifa: non siamo nel 1932 X EF, ma nel 2022, oggi. Siamo nel 2022, ma dobbiamo lo stesso combattere la BATTAGLIA DEL GRANO, come novant’anni fa, in pieno Ventennio. Come mai?

 Perché la pasta e il pane, spacciati di “grano italiano”, sono invece di grano straniero, in grandissima parte di grano russo e ucraino. E siccome non ne arriva più, rischiamo di non mangiare.

 A proposito: non c’è nessuno che controlla le pubblicità ingannevoli?

 Rischiano anche gli animali d’allevamento, che hanno bisogno di fieno. E se la mucca non ruguma, non fa né latte né vitelli; e la gallina, senza mais, non fa pulcini e uova. Eccetera.

 Bisogna dunque procurarsi da mangiare, sia gli uomini sia gli animali. La prima ipotesi sarebbe quella infantile e infondata: che la Natura offra i suoi frutti gratis. Forse è successo, per qualche tempo (tempo per noi, non per loro), ad Adamo ed Eva; ma subito dopo i due peccatori, e i loro discendenti, si devono “guadagnare il pane con il sudore della fronte”; praticamente, da che mondo è mondo.

 Grano, mais, foraggi, si ottengono coltivando la terra. Per coltivare la terra, occorrono la terra, i contadini, gli attrezzi. Ebbene, tutto questo è venuto meno in Italia, anche per un’evidente ideologia di palese disprezzo dell’agricoltura e dell’agricoltore. Una vecchia storia, che ad Atene vedeva la contrapposizione tra il cittadino, polites, e l’agroikòs; e in Francia, tra citoyen e paysan. E che è arrivata anche in Italia, e s’insegna a scuola! Vi dicono niente, le missive di don Milani? E già: sfortunati i contadini, e invece beati loro i figli degli avvocati. Risultato, nessuno fa più il contadino; e il grano lo abbiamo comprato dall’estero.

 Ora bisogna d’urgenza tornare a coltivare la terra; quindi servono contadini, attrezzi, terra. Attrezzi del 2022, ovvio; e anche contadini del 2022, quindi usciti da serie scuole professionali e da istituti tecnici agrari.

 E la terra? Guardatevi intorno, e vedrete quanta terra è abbandonata. E non c’è alcuna speranza che i proprietari non dico la coltivino, ma anche solo si ricordino di averla: abitano altrove, e fanno tutt’altro mestiere.

 Ebbene, diamo la terra ai contadini. Attenti alle parole: ai contadini, cioè a quelli che effettivamente la coltivino. E quelli che non la coltivano? Le cedano ai coltivatori con il fitto simbolico di un euro l’anno.

 Sai le risate, quando l’euro se lo devono spartire i sei (06) proprietari della particella a me contigua: giuro che è vero alla lettera, posso esibire le prove! Fatevi sotto, ricchi proprietari: vi toccano a testa ben 15 centesimi!

 Vanno dunque ricostituite le unità agrarie minime, altro che le “quote” della duplice demagogia degli anni 1950, che ha distrutto l’agricoltura, soprattutto nel Meridione. Unità agrarie minime significa: per produrre rose, un ettaro basta avanza; per il grano, ce ne vogliono da cinquecento a mille e anche molti di più. Evviva il latifondo, quando è produttivo.

 Ecco cosa significa, per me, la terra ai contadini. E chi non produce, gliela pigliamo. Sono diventato comunista? Tutt’altro: è la funzione sociale e nazionale della proprietà: un’idea molto, molto reazionaria.

Ulderico Nisticò