La Calabria affamata


 Non è la solita enfasi meridionale e barocca, è alla lettera, se 110.000 Calabresi devono rivolgersi a enti di carità per mangiare: il 6% della popolazione nominale, almeno il 10-12% di quella effettiva. Come vedete, non è un fatto di numeri, di PIL, di reddito pro capite e roba scolastica del genere: stiamo parlando di fame, cioè di persone che non hanno le risorse minime per sopravvivere. Si aggiunga quella che ipocritamente si chiama la povertà relativa, cioè i tantissimi che non possono permettersi quasi nulla oltre la sopravvivenza.

 Lezioncina di storia. Quando leggete nei testi storici che il popolo X patì la carestia nell’anno Y, vuol dire, terra terra, che la siccità o il suo contrario, oppure un’invasione di nemici o di cavallette, comunque qualche causa materiale aveva privato il popolo X di cibo. Di cibo, non di soldi.

 Quasi tutti i popoli non urbanizzati in senso stretto, trovavano del cibo anche senza soldi, utilizzando quello che c’era. Ma oggi, che siamo quasi tutti urbanizzati, è quasi impossibile mangiare senza soldi, cioè senza la produzione e il commercio, che sono i due fattori dell’economia moderna.

 Ebbene, la Calabria ha il commercio e non ha la produzione. Non avendo la produzione, molti non hanno i soldi per accedere al commercio; e perciò sono alla fame.

 Cosa produce, infatti, la Calabria? Industrie, non ce ne sono più, dopo la chiusura di Crotone e Vibo, ridicolmente sostituite con le province. I tentativi degli anni 1970 sono un palese frutto del mangiamangia demosocialista con l’avallo del PCI; e comunque non produssero mai nulla. Lo stesso per gli innumerevoli capannoni vuoti spacciati per benefici dell’intervento straordinario.

 C’è qualche area agricola, ma produce derrate da vendere all’ingrosso, che solo raramente acquistano, con la trasformazione, valore aggiunto.

 I servizi, che, in numero enorme e qualità mediocre o pessima, dagli anni 1960 furono quasi la sola occupazione dei Calabresi (“u postu”), sono oggi ridottissimi; e comunque gli stipendi non bastano.

 Stipendi? Diciamo ormai, prevalentemente, pensioni!

 Il turismo, mito e illusione, è un caos agostarico, con quasi totale assenza di forme di industria del forestiero che non sia il mare: mare e basta, più un lido spacciato per discoteca. Turismo culturale? Mai sentito nominare; e i Calabresi più sono laureati e meno lo sentono nominare.

 Di chi è la colpa? Ma dei Calabresi, dei Calabresi tutti: elettori ed eletti; deputati e senatori semianalfabeti con laurea; università mute; circoli e logge buoni solo per le cene di gala; giornali conniventi con chiunque; partiti di maggioranza inetti e di opposizione complici (la tornata seguente, viceversa); scrittori piagnoni ben compensati…

 Infine, colpa di certi recenti spara balle che se la pigliano con dei morti di secoli fa: bene inteso, dopo essersi accertati che sono morti e non possono più né mettere paura né fare un favore.

 Volete una soluzione? Ce l’avrei, però è inutile che la scriva, tanto non mi darebbe retta nessuno.

Ulderico Nisticò


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