La Corte dei conti e il ponte, e le troppe leggi.


 Aspettiamo, con comodo, le motivazioni; ma sono sicuro che se la Corte dei conti ha detto di no al ponte… ebbene, ci dev’essere da qualche parte, a darle ragione, una legge una leggina una sentenza un’interpretazione, una scartoffia qualsiasi … Tranquilli, che a darle torto ci sarà da qualche altra parte una leggina una sentenza una legge una sentenza, che invece le dà torto marcio. Si trova, si trova… basta cercarla.

Forse non è facile, in un’Italia in cui le leggi si contano a decine di migliaia (non è un’iperbole, è vero alla lettera!), e quando tutto manca ci sono convenzioni internazionali e roba del genere. Però, un bravo avvocato…

Le leggi, si sa, le fanno i politici, e, ufficialmente, le due camere; ma siccome le leggi sono scritte così male che pare le scrivano male apposta, intervengono i vari gradi di giudizio, inclusa la Cassazione che, in modo del tutto indebito, è divenuta terzo grado.

E come sono state scritte le leggi? Qui ci soccorre Tacito, di cui tanti ripetono “corruptissima re publica, plurimae leges” [tanto più uno Stato è corrotto, tante più leggi si fanno]; ma nessuno sa o cita la spiegazione: “non modo in commune, sed in singulos latae quaestiones”.

Vuol dire che le leggi cominciarono a farsi non con validità generale, ma caso per caso e a vantaggio o danno di singole persone o categorie. Ci vorrà Giustiniano a togliere “il troppo e il vano”, ed emanare un Codice chiaro e semplice.

Voglio concludere che urge una riforma; e che sia, appunto, “in commune”, di validità universale; perché, e qui ci serve Cicerone, il quale avverte che “si iudicia displicent aut nulla sunt, vis dominetur necesse est”: se l’apparato giudiziario non gode della stima universale, o non c’è, è inevitabile dilaghi la forza/violenza”.

Detto, questo, io voglio il ponte.

Ulderico Nisticò