La fine di Gioia Tauro? E non solo


porto_gioia_tauro Sulla scia, forse, di qualche Pino Aprile che si sogna passate ricchezze mai esistite, dilagano i meridionali che s’inventano delle ugualmente inesistenti ricchezze future: Patruno, Soriero e altri. Entrambe le categorie sono palesemente caratterizzate da una capacità circense di saltare i trapezi, e non prendono in alcuna considerazione il presente, elegantemente lo ignorano.

 Sostiene Soriero che il porto di Gioia Tauro… e giù promesse che il suddetto attracco sarà non solo fonte di prosperità per la Calabria e il Sud, ma anche determinante per l’economia italiana e mediterranea. La tesi, come tutte le tesi, è scientificamente dimostrata. Che ci vuole? Basta prendere solo i numeri che ci fanno comodo, e fingere che gli altri non ci siano. Fidatevi, è con questi ragionamenti scientifici che sbarcò Ulisse a Tiriolo!

 Invece sapete che dicono, i numeri? Che, un paio di anni fa, 450 addetti vennero messi in Cassa integrazione; l’anno scorso si ottenne una proroga dell’assistenza; ora i 450, o poco meno, verranno licenziati. C’è qualcosa che non funziona, a Gioia Tauro?

 È intanto chiarissimo che il porto non lavora, non guadagna, perciò non ha necessità di lavoratori. Non guadagna, perché non arrivano navi e non ne ripartono. Già, che altro è, un porto? Un posto dove arrivano e da dove partono navi: è dunque palese che ciò a Gioia Tauro non avviene o avviene molto poco.

 Del resto, Gioia Tauro non è un porto, ma solo un sistema di gru. Un porto, secondo me, è un luogo dove i marinai scendono dalle navi, frequentano taverne e donnine allegre, si scazzottano con quelli dell’altra nave, bevono e cantano, oppure ascoltano i cupi racconti dei vecchi… a Gioia Tauro non ci sono taverne e marinai e risse e canzoni; anzi non c’è nemmeno una miserabile ferrovia tra le gru e il paese.

 A parte quelle illeciti, non arrivano a Gioia Tauro delle merci per la Calabria, e non ne partono dalla Calabria. Se arrivano navi, le gru trasferiscono roba su qualche altra nave. Fine!

 Domanda: in queste condizioni, a che servono degli operai? E allora, volete vedere che Gioia era la solita botta di assistenzialismo, con assunzioni inutili e giusto per motivi politici e sindacali? E già: chi si ricorda di tale Giacomo Mancini, il quale promise, con il Centro Siderurgico, diecimila (10.000!) posti di lavoro?

 Uno di questi giorni vi racconto cosa accadde, anche a me, il 31 luglio 1977, a Gioia Tauro, colpevole Cossiga.

 Ragazzi, il lavoro non s’inventa, e non crea l’economia; è l’economia che crea il lavoro. È dunque ovvio che a Gioia Tauro non funziona l’economia; e l’economia funziona solo da sé, altrimenti è assistenzialismo.

 Come non funziona in tutta la Calabria. Non funziona perché la Calabria non produce né beni materiali né servizi o cultura, perciò non ne può esportare; anzi nemmeno importare, al di là di roba da supermercato e spesa quotidiana.

 Non ci servono dunque oppiacee zaffate di ottimismo, né del futuro alla Soriero e Patruno, né del fantasioso passato alla Pino Aprile. Servirebbero una ricognizione seria delle risorse reali e della possibilità reale di ricavarne un reale valore aggiunto. Reale, ripeto, non sognato tipo vecchietta della ricotta. E tutto attraverso lavoro reale, non i soliti carrozzoni con tre operai e dodici dirigenti.

 Soverato, già centro attivissimo di tutto, porto incluso, è oggi il regno incontrastato dei cartelli “Vendesi. Fittasi. Cedesi attività”, che restano, sempre più sbiaditi, mesi e mesi, e non compra e non fitta nessuno. Nonché detentore del triste primato di anziani in tutto il territorio. Il turismo? Due settimane di rumore.

 Ecco un altro esempio di ottimismo adolescenziale: nell’immaginario resta il chiasso d’agosto, e nessuno prende atto del silenzio degli altri undici mesi e mezzo.

Ulderico Nisticò


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