…traduco, in onore dell’Alighieri, in buon italiano l’ibrida espressione Dantedì: a quando s’inventeranno Commedy? A parte però l’americaneggiante definizione, è però buono che l’Italia si sia ricordata di Dante. Sarei curioso di sapere se e in quali scuole si legga la Divina Commedia in modo corposo e organico, e non solo Paolo e Francesca e Ulisse, e pure loro a pezzettini.
Va letta se non per intero, almeno in modo strutturato. Essa è la storia spirituale della persona di Dante smarrito nella confusione mentale e morale (selva oscura), che è anche la confusione del mondo privo delle due grandi autorità: la Chiesa per la sua corruzione, e l’Impero perché la Chiesa ha preteso e preso il potere politico. Leggete con attenzione il XVI del Purgatorio, che è il centro del Poema: 34+16 = 50/100. Chiaro?
Dante viene soccorso da Virgilio (la ragione e la cultura umane), inviato da Beatrice (la teologia). Visita l’Aldilà, e in tale viaggio è l’ultimo degli eroi mitici cui è concesso di farlo: Ercole, Teseo, Ulisse, Enea…
Nell’Inferno vede la punizione eterna dei peccati; nel Purgatorio, la progressiva purificazione; in Paradiso, la gloria dei beati e la visione trinitaria di Dio.
Tra i beati dotti, “l’abate calavrese Gioacchino”, cui Dante s’ispira in gran parte della sua concezione della religione e della morale, come ampiamente dimostra la stessa disposizione triadica della sua visione; e un ampia simbologia che ricorda molto il Liber Figurarum gioachimita. La Calabria di oggi ne fa scarso cenno; per esempio, l’ultimo film su Gioacchino non dice mezza virgola su Dante. Ragazzi, bisogna saperle, le cose; o se no, chiedere a chi ne sa.
Il disordine del mondo, e in specie quello dell’Italia (VI del Purgatorio) è dovuto alla Donazione di Costantino: Dante non sa che è un falso, ma la ritiene illegittima, perché l’imperatore, che è solo “baiulo” e non padrone, non può donare l’Impero; e la Chiesa da Cristo non è stata creata per governare e possedere ricchezze.
Questo è, in estrema sintesi, il messaggio della Commedia. Ora affrontiamo, anche qui in modo lapidario, un argomento arduo, che è il rapporto tra teologia e poesia. Totalmente destituito di ogni fondamento è il giudizio di Benedetto Croce, secondo cui il Poema sarebbe un “romanzo teologico” con isolati momenti di poesia; ed è da questa scorretta ricostruzione che deriva il fatto che della Commedia si legge solo Francesca; e manco si ricordano che è una dannata! Al contrario, la teologia e la politica e la struttura sono fittamente intrecciate con la poesia in tutte le sue valenze: la faziosità patriottica di Farinata; l’odio di Dante nei confronti di papa Bonifazio VIII; l’eroismo disperato di Ulisse; l’astuzia delusa di Guido; l’orrore di Ugolino; i pentimenti dei peccatori e la loro umiliazione se dimenticati; la gelosia amorosa di Nino Visconti e della stessa Beatrice; il dramma personale di Piccarda e di Costanza; la forza titanica di san Francesco d’Assisi; la vanità di Dante di avere in Cacciaguida un antenato nobile (Cecco Angiolieri deride ciò in un bel sonetto); le ambizioni del poeta di avere un ruolo politico con Arrigo VII o Carlo Martello o Cangrande…
E la sorprendente capacità di conoscere amare la vita, anche quella quotidiana, “come vecchio sartor fa nella cruna”; e il verso più bello e struggente: “tu proverai siccome sa di sale lo pane altrui”, per un fiorentino abituato al pane sciocco, il pane a casa d’altri nell’esilio.
Dante è davvero il padre della lingua, attingendo a tutte le parlate d’Italia e ampiamente al latino. Ed è un italiano non libresco ma quanto mai variegato: vi risparmio le parolacce, che però sono tante. E in tempi in cui l’italiano viene attaccato e dagli anglicismi e americanismi, e da brutti dialetti dei bassi, e da asterischi e altre diavolerie politicamente corrette, bisogna tornare a Dante in nome dell’Italia vera e dell’italiano.
Ulderico Nisticò