La motocicletta di Locri, e altri tristi casi


 Vincenzo Bruzzese, di Grotteria, ingegnere, lavorava a Torino, quando decise, con alcuni operai piemontesi, di aprire una fabbrica di bulloneria… per esattezza, a Gerace Inferiore, perché Locri prese tale nome storico nel 1934, e già era finita l’avventura di cui parliamo. Sortì successo per la validità del prodotto, che ottenne riconoscimenti e sostegni dal governo fascista; e commesse italiane ed estere; e fu in questa landa di Calabria che vennero fusi tutti i bulloni occorrenti per il gigantesco transatlantico Rex.

 Nel 1931, le Officine Meccaniche Calabresi (OMC) produssero una motocicletta di tale bellezza ed efficienza da essere scelta per aprire la grandiosa sfilata per il decennale della Marcia su Roma; e intanto molti esemplari vennero venduti in tutta Italia. Continuarono i sostegni governativi, e le OMC vennero dichiarate strategiche per la produzione bellica. Ne uscivano, infatti, anche motori aerei, e si parlò di una “motocicletta dell’aria”, forse esperimento di elicottero.

 Nel 1934, però, un’improvvisa crisi, con risvolti giudiziari, e la chiusura delle ONG. Molti ne hanno scritto e se ne parla tuttora, ma in modo vago e poco convincente. Bruzzese venne assolto da ogni accusa, ma era tardi.

 L’iniziativa industriale, è vero, aveva trovato l’opposizione di elementi retrivi, e di latifondisti che temevano di perdere braccia da lavoro: troppo poco, come spiegazione. Quanto alla questione giudiziaria, qualcuno dovrebbe prendersi la briga di studiare i documenti del Tribunale. Chiudo questa riflessione lasciando il compito di approfondirla e studiarla a chi se ne voglia assumere.

 Non fu il solo caso, in Calabria, di successi e fallimenti. Il nostro Quarzo, aperto nel 1937, finì di lavorare attorno al 1950, e anche di questo si dissero tante cose contraddittorie.

 Le industrie di Crotone e quelle di Vibo sono state miseramente sostituite con l’illusione del posto fisso, che poi si rivelò inesistente nelle attuali due tisiche e sgangherate Province.

 Per far storia antica, l’ultimo maestro catanzarese dell’arte della seta morì nel 1927, e senza eredi.

 Sto parlando di produzione vera. Per le industrie fasulle, e truffe degli anni 1980, leggete il bel libro di De Virgilio.

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 Come i miei lettori sanno, io non farò qui dietrologia da applausi segue cena, lamentando congiure mondiali contro la Calabria. Ci dev’essere anche qualche ragione intrinseca e tutta locale e calabrese, se una cosa non funziona.

 Pigliamo Mongiana, che da fine XVIII secolo produceva lavori di ferro e di ghisa, utilizzando il materiale di Bivongi e Pazzano, poi Agnana. Vero, ed è ancora lì, oggi un piccolo museo; ma produceva arcaici fucili mai ammodernati (due di vedono nel Museo diocesano di Squillace); e busti di ghisa del re, che i Comuni dovevano acquistare; e qualche oggetto d’arte. Come industria statale, si giovava di sostegni comunque andassero le cose. Di veramente buono c’era il trattamento degli operai, infinitamente migliore del capitalismo inglese, francese e anche piemontese. Privatizzata dopo il 1861 e comprata dal garibaldino Fazzari a seguito di ricco matrimonio, fabbricava un moschetto di successo (un esemplare è nel Museo Militare di Catanzaro); per poi chiudere verso gli anni 1880.

 Altro discorso Razzona di Cardinale, e ne abbiamo già parlato a proposito del Filangieri; ma era finita prima del 1860.

 Cos’hanno in comune queste e altre occasioni mancate o fallite? La mancanza di indotto, quindi di un tessuto economico e sociale. Un fucile da guerra può essere venduto solo allo Stato; i fertilizzanti di Crotone, solo all’agricoltura estensiva… E anche il nostro quarzo, una volta semilavorato, veniva avviato altrove.

 L’economia è, infatti, il valore aggiunto, cioè come una materia prima di valore X venga lavorata per farla diventare prodotto di valore 2, 3, 4X. Se no, è come l’olio che i latifondisti di un tempo vendevano ai commercianti inglesi e olandesi: olio lampante e di pessima qualità, e pagato pochissimo; e le sterline, sotto il mattone per non avere dove spenderle. Ma se io divento ricco e mi compro una Ferrari da corsa, a parte che non ho dove strade dove correre, se mi si guasta la devo mandare a Maranello, per mancanza di officine di tale livello nel Meridione.

 E non scordiamo che in Calabria è più facile, molto più facile incontrare un avvocato che un metalmeccanico. Faccio l’esempio degli avvocati, generalmente bravi, perché di grecisti che sanno il greco ne conosco piuttosto pochi, a parte “qui fu la Magna Grecia”. Va dunque anche ripensata la scuola.

 Conclusione, le cattive esperienze del passato dovrebbero insegnarci qualcosa per il presente e per il futuro.

Ulderico Nisticò