Le invasioni barbariche


La lezione del Vico non è che “la storia si ripete”, come banalmente s’intende; ma che, nella varietà degli eventi, agiscono delle costanti storiche, non solo e non tanto nei fatti, quanto nella mente umana, e non quella dei singoli, che è un fenomeno rarissimo, ma quella delle comunità “in questo mondo di nazioni”.

 Una costante di tutta la storia umana è che ci sono popoli nomadi e popoli stanziali; poi però, a ben vedere, ci si accorge che anche gli stanziali sono seminomadi. Seminomadi erano le tribù germaniche conosciute da Cesare e Tacito; quando esaurivano la terra, si spostavano altrove, spesso in modo guerresco. Fin quando i Romani stanziali (o seminomadi: pensate alle colonie) furono politicamente e militarmente superiori, le contennero; poi non ce la fecero più. Per secoli ciò fu chiamato, con disprezzo, “le invasioni barbariche”, il solito gioco dei cattivi contro i buoni; ma è evidente che, se i “barbari” s’impadronirono delle province romane e poi della stessa Italia, fu per la debolezza politica e militare dell’Impero d’Occidente, a sua volta effetto dello spopolamento.

 Il fenomeno era antico, già denunziato da Catone Censore, e invano presero provvedimenti Cesare, Augusto e altri imperatori. La terra italiana era povera, la piccola proprietà insufficiente; mentre le città, Roma soprattutto, esercitavano potentemente il loro fascino malsano di vita comoda e viziosa. Chi legge Tacito, Giovenale e Marziale, ha la stessa impressione identica di chi legge oggi un giornale o vede filmetti tv: Roma piccolissimo borghese, con dilagare dell’individualismo spacciato per diritti, e gente senza miti, senza sogni, senza ideali e ideologie, solo preoccupata se Tizio o Caia si “amano”, il che, secondo il luogo comune, giustificherebbe qualsiasi poltiglia sociale; amori che, comunque vadano, non fanno figli; e si aggiungano le ben note difficoltà oggettive e mettere famiglia nel senso vero dell’espressione. Così Plinio il Vecchio denunziava la “vastatio Italiae”, l’Italia desertificata.

 Dal 2013, insegnano le statistiche, anche nel Meridione italiano i morti superano i nati; e siccome non muore nessuno e le case di riposo sono l’industria del domani, ciò avviene perché non si nasce.

 Costante storica è che i vuoti si riempiono. Se Goti, Franchi, Vandali, Longobardi scesero dal Nord, è perché il Sud si stava svuotando. Ne derivò il Medioevo, e con esso il ripopolamento, i commerci, la Divina Commedia e le cattedrali: tutto effetto di un punto ottimo tra civiltà e barbarie. Dante è un raffinatissimo barbaro, o non avrebbe avuto il fegato e l’ira di sbattere all’Inferno dei papi!

 Ora qualche intelligentone penserà che sui clandestini io abbia cambiato idea. Tranquillizzatevi: sui barconi non vedo nessun Teodorico in cerca di Cassiodoro, nessuna Teodolinda, nessun Roberto e Ruggero d’Altavilla, nessuna Ildegarda, nessun Tommaso d’Aquino: solo imitazioni del peggio del rammollito Occidente. Né dimentico l’organizzatissimo mangia mangia della cosiddetta accoglienza… Ogni tanto ne sgamano qualcuno e lo condannano, ma sono briciole in mezzo a un banchetto pantagruelico.

 Tuttavia, da storico dilettante, devo pur ragionare sulle costanti storiche; e riflettere che, se l’Europa continua nella sua devastazione, allora l’Europa storica, come l’abbiamo conosciuta e ci ha lasciato Dante e Michelangelo e Fichte, è finita. L’Europa cristiana è finita, mentre il cristianesimo sta degenerando in un patetico umanitarismo senza manco l’ombra di una metafisica; la poesia, che è ridotta a solipsismo onanistico; l’architettura fatta di scatolame e cimiteri dei vivi… vivi, in senso biologico.

 La politica…. stendo un velo pietosissimo a 360, anzi 720 gradi.

 Non basta dunque “impedire le invasioni”, operazione già difficile quando non impossibile; dovremmo far rinascere le energie primordiali dei popoli, e far nascere bambini da padri e madri; e urgono fedi, miti, idee… persino ideologie. Sotto a chi ne ha. Ci servono sani barbari: vedi sopra; e siccome non ne possono venire da fuori (vedi sopra), dovremmo trovarli qui in mezzo a noi.

Ulderico Nisticò