Leone XIV e la diplomazia


 Una delle ragioni per cui ammiro papa Leone è che, pur conoscendo bene l’italiano, non parla a braccio ma legge documenti scritti, usando perciò una terminologia che non offre spazio a interpretazioni. A proposito delle guerre, le due parole importanti, e che significano solo quello che significano, sono: trattative e diplomazia. Il concetto è univoco: i diplomatici devono trattare.

I diplomatici di un tempo erano, in genere, dei nobili che si ponevano al servizio dello Stato; dello Stato, senza molto preoccuparsi di chi fosse il re di turno. Per chi sa di storia, nomino alcuni dei protagonisti del Congresso di Vienna del 1814-5: Metternich, Talleyrand, Wellington… e merita un cenno anche il nostro Carlo Filangieri.

I diplomatici e le loro trattative avvenivano in ogni modo, e le riunioni ufficiali erano appena la conclusione formale. È stato detto che a Vienna si fece più danzando che discutendo, e questo lascia immaginare la rilevanza delle nobili dame, che a loro volta, fingendosi di passaggio, la sapevano lunga; e che erano determinanti, ma non si curavano di perdere tempo a partecipare a prolisse e noiose riunioni ufficiali, e tanto meno passare alla storia e alla cronaca.

Per trattare della guerra all’Austria, Napoleone III e Cavour fecero finta di aver bisogno delle acque minerali di Plombières, e di essersi incontrati per caso.

Per secoli, ebbe grande peso la diplomazia della Chiesa, affidata a ecclesiastici di grande autorevolezza. I Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 furono firmati dal segretario di Stato cardinale Gasparri – e informatevi chi li firmò per l’Italia – ma furono preceduti da accordi riservatissimi, e di cui non trapelò una virgola prima della cerimonia ufficiale. Immaginate che sarebbe successo, se i protagonisti si fossero lasciati andare all’attuale ridda di interviste e parole in libertà e giornalisti fantasiosi e politicanti fanatici…

Il messaggio di papa Leone è chiaro: si trovino diplomatici abili e seri, i quali trovino le soluzioni, concrete e possibili soluzioni. “Cum parole non si mantengono li Stati”, insegna il Machiavelli, quindi di parole ce ne servono pochissime e pesate (e lette!), ma servono fatti.

La pace non è una sospensione provvisoria della guerra, è la rimozione delle cause. Chiudo con un ultimo richiamo storico: nel 1938 l’incontro di Monaco tra Italia (informatevi!), Germania, Francia e Gran Bretagna evitò una guerra per il più insignificante dei motivi, l’inesistente Cecoslovacchia; nel 1939, per Danzica, non ci fu più un incontro, e l’Europa si distrusse da sola. Sono stato chiaro? Papa Leone lo è.

Ulderico Nisticò