Lezione di storia di Roccelletta


 Premetto che non ho nulla contro la musica e gli spettacoli in genere, e credo di rappresentarne io stesso di dignitosi anche senza una lira di contributo; e dichiaro che, nell’ignoranza dilagante di cui tra poco meglio dirò, meglio musica e cantanti che niente, a Roccelletta. Niente, intendo quei “grandi uomini di cultura” delle leggende urbane soveratesi, che mi hanno confessato di non averci mai messo piede.

 Però, scusate, in una trasmissione di RAI Calabria che si vanta di voler valorizzare il turismo calabrese, possibile che manco un Pincopallino di passaggio abbia detto una mezza parola per sbaglio sull’area archeologica e la sua storia? È stato possibile, possibilissimo, stante la suddetta ignoranza della storia calabrese, che è DIRETTAMENTE proporzionale al titolo di studio: ovvero, i diplomati ne sanno poco, i laureati nulla. Colmiamo la grave lacuna, almeno a proposito di Roccelletta.

 L’area archeologica in parola si estende dal territorio di Borgia a quello di Squillace, e, probabilmente, oltre, e ospita i cospicui resti della romana Scolacium.

 Questa fu preceduta dalla greca Skylletion, fondata, secondo il mito, dall’eroe omerico Menesteo, re di Atene; e comunque dagli Ateniesi, in uno dei momenti della loro politica verso Occidente e l’Italia. In ciò sono concordi tutte le fonti greche e latine.

 Passata sotto l’egemonia di Crotone, Scillezio ne seguì le sorti, finché Dionisio il Vecchio non la annesse a Locri (386 aC). Seguì, suggerisce qualche traccia archeologica, una fase bruzia. È in questo periodo che il toponimo ionico Skylletion, forse dopo un acheo Skyllation, porta al latino Scolacium.

 Per effetto della politica dei Gracchi, quindi dopo il 123 aC, viene fondata la Colonia Minervia Scolacium. La consacrazione a Minerva è memoria della dea poliade greca, che Licofrone chiama Atenà Skylletria.

 L’imperatore Nerva (96-8 dC) la rifondò, donde il nome di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium, che appare dalla lapide conservata oggi nel municipio di Squillace.

 Mentre decadeva Crotone, Scolacio andò crescendo, e il suo figlio più illustre, Cassiodoro, la chiama Prima urbs Bruttiorum, facendone una vivace descrizione.

 Sede vescovile almeno dal V secolo, continuò la sua prospera vita fino all’abbandono delle coste, verso il X secolo. Adibita a fortificazione in età romea (bizantina), venne intesa dai Normanni, nella loro lingua, come Rochelle. Vi si combatté durante il Vespro, nel 1459, nel 1528, e ancora durante la rivolta antifrancese del 1806-12.

 Della grande città romana rimangono foro, basilica, portico, teatro, anfiteatro, e altro; le tombe poste lungo la 106, che fu la strada romana, usano parlare sotto i pleniluni. Circa la maestosa chiesa medioevale si discute con varie ipotesi; la tradizione vuole sia un dono ai monaci della grancontessa Adelasia, terza moglie di Ruggero I. È verisimile facesse parte di un disegno territoriale normanno, con fondazione, nell’Istmo, di tre grandi abbazie: Sant’Eufemia; Santa Maria della Roccella; Santa Maria di Corazzo.

 Di tutto questo e altro, la promozione turistica di RAI Calabria non ha dato il benché minimo accenno manco per sbaglio; non un fiato su Cassiodoro, che pure, avendo scritto un libro dal titolo De musica, poteva essere in carattere con l’unico argomento trattato.

 Per saperne di più, AA.VV: Borgia, Collana città Calabria, Rubbettino, 2006. Il capitolo Skylletion e Scolacium è di U. N. ed Elisa Nisticò.

 Il turismo culturale, in Calabria, è un oggetto totalmente sconosciuto; e nessuno ne vuole sapere niente. Il lettore si rifaccia gli occhi con queste righe. Attenzione, è turismo culturale, non cultura per aggobbiti secchioni; è far gustare il luogo che si visita, e di ciò fanno parte anche gli spettacoli. Ma se gli spettacoli non fossero solo musica, non sarebbe meglio? E se quelli vanno per lo spettacolo venissero informati che sono in una città romana con precedenti greci? Ecco cos’è il turismo culturale, quella cosa che in Calabria, con rarissime eccezioni, non sappiamo manco che sia.

 Sarei curioso di sapere quanti bagnanti soveratesi vengano accompagnati, o almeno invogliati a visitare la Pietà del Gagini. Evitate battute da scemi del villaggio: io l’ho fatto decine e decine di volte, gratis e senza sparare bufale di Ulisse e Santo Graal e l’Asino che vola.

Ulderico Nisticò


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