Libertà di stampa, veline e autoveline


Spiegazione storica: durante il Ventennio fascista, i giornali erano controllati dal Ministero della Cultura Popolare (con scarso senso dell’umorismo, MINCULPOP), che indicava le cose da dire e quelle da non dire o dire di meno. A quei tempi, il massimo della tecnologia era la macchina da scrivere, che, per mezzo della carta carbone, stampava fino a quattro, cinque copie di una carta così sottile da essere chiamata “velina”, da velo. L’attuale significato nel mondo dello spettacolo… beh, un’altra volta.

Le veline di allora, dunque, dettavano la linea ai giornali. I successi del regime dovevano essere esaltati, mentre certi fatti di cronaca nera e delitti era meglio passarli quasi sotto silenzio. Durante la guerra per l’effettiva conquista della Libia (1922-30), l’ordine era di non parlarne molto, e rimase, nelle caserme, l’espressione “morto in Libia” per dire di uno che, vivissimo, si dava imboscato. Durante le vittoriose guerre d’Etiopia (1935-6) e di Spagna (1936-9), i giornali si sbizzarrirono; durante la Seconda mondiale, che dal 1940 al ’43 fu d’andamento molto altalenante, i giornali dovettero spesso arrampicarsi sugli specchi, non esitando ad inventare vittorie ed edulcorare sconfitte…

Questo, per la storia. E oggi? Oggi, come è noto, c’è la libertà di opinione… anche se è ben difficile, per esempio, che la “Stampa” parli male della FIAT o come si chiama ora! Ci sono poi giornali di partito o di tendenza ideologica, leggere i quali è quasi inutile, tanto si sa già che parlano bene di uno e male di un altro, a priori. Lo stesso per tv e radio.

I social sono abbastanza controllati. Nel gruppo di classicisti, con 12.000 adepti, cui collaboro, io posso scrivere quello che mi pare di antichità e letteratura, grammatica eccetera, ma sono stato avvertito senza misericordia ad evitare ogni argomento di politica contemporanea.

Che c’entrano tutti questi argomenti con il 2021 quasi 22? Oggi, nel mondo della libertà, mica ci sono le veline…

Ma no, oggi ci sono le autoveline! Se uno dura la fatica di ascoltare un gr o tg o leggere un quotidiano… beh, fatica sprecata. Potete lasciare spenta la tv, e le notizie le sapete lo stesso.

Nel supergovernissimo Draghi va tutto bene, anzi benissimo, e in seguito andrà anche meglio; gli autovelini esultano.

L’economia italiana, gridano tutti in coro, cresce del 6%. Il 6% rispetto a un crollo precovid e covid, quindi, in termini oggettivi, sarebbe un pareggio, non una crescita. Ma gli autovelini si esaltano ed esaltano il PRR, calcando il tono sulla parola “resilienza”, che nessuno sa cosa voglia dire, e proprio per questo pare magica come Abracadabra e Sesamo.

L’inflazione sale alle stelle; aumentano a dismisura luce e gas e benzina; salgono i prezzi di qualsiasi cosa: ma per gli autovelini va bene, meravigliosamente così.

L’Europa manda all’Italia 25 miliardi: ottima idea; ma nessun autovelino c’informa se questi miliardi sono arrivati, arriveranno, sono per strada…

Avete notato che del verminaio del CSM non si dice nulla di niente? Del resto, i giornalisti si adeguano al presidente del suddetto CSM, ovvero Mattarella, che a tale proposito tacque e tace. Autovelinismo giudiziario?

Sbarcano clandestini a migliaia, e la RAI si affretta a precisare a voce che sono “disperati, donne e minori non accompagnati”, in evidente contraddizione con le immagini di maschi sanissimi e giovani. E gli autovelini proclamano che tutti, ma proprio tutti, anche a Crotone e a Roccella, sono felicissimi degli arrivi. Contraddittorio, zero, alla faccia della deontologia professionale!
A proposito di politica estera, io vi ho avvertiti già quest’estate, e i fatti mi danno ragione: l’Afghanistan è completamente scomparso dalle cronache; e nessuno osa ricordare è che se i taleban fanno il loro comodo, è perché Biden e soci sono scappati a gambe levate, e con loro anche il glorioso esercito democratico afghano.

E gli autovelini locali? Beh, un esempio basti: sono ormai due mesi da quando è divampato il caso della Diocesi di Catanzaro Squillace, e l’argomento è svanito da ogni sia pur vaghissimo accenno. Non si sa niente delle cause e degli sviluppi, e nessuno appare minimamente curioso di saperne.

Insomma, non ci sono più le veline, ma tanti, tantissimi autovelini. E attenti qui: per elementare scienza delle comunicazioni, quello che conta non è la notizia, è come la si dà, con che tono, con che sorrisi, con che ottimismo…

Andrà tutto bene, ripetevano agli inizi del covid, mentre partivano per l’inceneritore i morti a decine.
Tout va très bien, madame la marquise, torna il motto degli autovelini di stampa e tv.

Ulderico Nisticò