Lode a Franco Battiato


 La scomparsa di Battiato è un lutto per la cultura, e lo dico nel senso più stretto e genuino del termine, e lontanissimo dal generico alla moda. Era un poeta musico, e forse anche un filosofo musico. I suoi testi erano provocatoriamente eruditi, e ricordo di aver dovuto spiegare, e a persone colte, cosa volesse dire con “gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming”, 16 parole per spalancare un XVI secolo, attraverso missionari in Cina come Matteo Ricci, tutto il dibattito filosofico e teologico europeo tra le certezze del metodo deduttivo e le avventure intellettuali dell’induttivo; tra Bellarmino e Galileo, entrambi portatori di una visione della vita e del mondo. Il XVI secolo, o piuttosto le grandi eterne questioni dell’esistenza di ogni tempo e ogni uomo di ogni luogo?

 Non siamo sempre tutti alla ricerca di un “centro di gravità permanente”, che non troviamo mai, e che forse non vogliamo trovare, o dovremmo fermare la nostra corsa della vita? E ricordo che a me lo fecero scoprire, nel 1981, i miei allievi di Santa Severina, una bella e vivace classe, a cui pareva curioso un cantante così particolare, e volevano saperne di più. Ecco, un filosofo popolare!

 Non gli sfuggiva alcun tema, da quello dei piccoli episodi “nelle ore di ginnastica e di religione”, ai “profughi afghani” di quando iniziò il travaglio di quel popolo, nel 1979. Aveva scritto canzoni per altri, quando iniziò a divenire egli stesso cantautore e a conquistare un pubblico sensibile e numeroso.

 Era profondamente siciliano, e forse soprattutto etneo, di un mondo identitario che da sempre combatte contro la Montagna e la ama; e che deve a Mongibello (mons – gebel) la sua prosperità e i suoi improvvisi terrori; ed è esso stesso una metafora dell’imprevedibilità dell’esistenza. Mons gebel: un mondo greco e latino e arabo, crocevia della storia e del pensiero e delle sensazioni.

 La sua musica era antica, quasi un lieve accompagnamento della parola, come dovette essere quella dei poeti e del teatro greco. Il suo cantare era tra il canoro e il recitativo; quasi un dialogo con l’ascoltatore.

 Gli si attribuirono indebitamente appartenenze politiche, ma cantò “Povera Patria”, contro tutti e al di sopra di tutti.

 Ha dato molto, e ora riposi nella memoria.

Ulderico Nisticò