In questi giorni, presso lo spazio museale, “Il Giardino delle Arti” dell’Associazione Culturale Karol Wojtyla di Catanzaro, è venuto a farci visita il recordmen Luigi Bevacqua, calabrese di Tiriolo (CZ); paracadutista, alpinista, parapendista; campione regionale di Mountain Bike; tre primati mondiali per la velocità a tappe in alta quota. Tra l’altro ha partecipato alla cronoscalata a tappe più alta al mondo organizzata da Wheels Without Borders (gruppo che promuove manifestazioni sportive e di solidarietà con il popolo tibetano), gareggiando sul Khardungla top nel Ladakh (India); 565 km di piste massacranti con pendenze fino al 15% e dislivelli di 4.000 m., piazzandosi dietro ai due vincitori. Quello di Luigi Bevacqua, un amore sconfinato per la natura, lo sport e l’Everest. In occasione di questa sua visita ha promesso allo spazio museale “Il giardino delle Arti”, un cimelio importante, frutto delle sue vittorie, che farà parte della dotazione artistica del museo stesso. Tra l’altro dichiarando:
“La montagna è la mia vita. La rispetto, la amo e, quando sono lì, mi sento il padrone del mondo e vicino a Dio. Fin da bambino la mia passione è sempre stata il Monte Tiriolo che conosco in lungo e in largo. Nel tempo è arrivato il desiderio di salire sempre più in alto, fino al tetto del mondo: l’Everest..”
Qual’è la molla che la spinge a sottoporsi, con qualsiasi tempo ed ora, a sacrifici lunghi ed estenuanti al fine di raggiungere prestazioni quasi inimmaginabili per un semplice essere umano? E’ puro spirito di competizione?
Non è un fatto solo di gareggiare che non mi ha mai interessato, ma la possibilità di misurarmi con me stesso e di superare i miei limiti. Quando sali a più di 5 mila metri e l’ossigeno è sempre meno e non riesci a respirare; quando rischi continuamente di restare sepolto sotto una tormenta di nevi, senti la fatica, la sofferenza, il dolore; lì ti metti alla prova davvero. Soprattutto se hai superato i 50 anni.
Quando è arrivato il suo primo record mondiale?
La prima volta è stato nel 2006 sul passo del Khardungl Topa. Sono salito con la bici a quota 5.600 m. Due anni dopo ho scalato l’Annapurna fino a quota 6.280 m. conquistando il primato dell’altitudine per aver portato la bici a quell’altezza proibitiva; e poi l’Everest, pedalando per 427 Km fino a 5.400 m. Tutto questo mi è valso la conquista del primato della distanza a tappe, esperienza faticosissima. Lì affronti salite con dislivelli pari al 15-20% e temperature che scendono a meno 45°. L’ossigeno si riduce del 70%. Se non lo hai mai fatto non puoi capire cosa significa. Questa partecipazione mi ha portato a raggiungere un altro primato mondiale per la distanza a tempo ad alta quota.
Nel 2015, sono stato ospite della competizione Imalaja Ranc. Sono salito sul Khardung La per l’Himalayan Highway, affrontando la cronoscalata a tappe più alta al mondo all’interno della regione del Ladakh, in India. E sono arrivato dietro al campione del mondo Thomas Dietsch e a quello italiano, Marsio Deo. Mi sono classificato 4° assoluto al mondo dopo 10 anni che avevo conquistato questo primato. E ho raggiunto un primato tutto mio: sono arrivato in cima, a 5.600 m. a 53 anni suonati, in condizioni fisiche proibitive, contro il parere dei medici dietro a due campioni, in una competizione internazionale difficilissima. Ho superato me stesso e ho vinto.
La sua, una vita è alquanto dura e solitaria, non le sembra?
Sono un lupo solitario. Sull’Himalaya sono sempre arrivato solo; anche Oxy, la mia guida nepalese e amico fraterno, si è arreso prima. Ma lì ti senti parte di un tutto, non esiste bene né male, né guerre o violenza. E la gente è splendida. Non hanno nulla eppure sono felici di esistere e di sorridere alla vita; pronti a condividere il poco che possiedono seguendo l’insegnamento del Budda.
Amo questa gente. Anni fa ho portato con me sull’Annapurna la bandiera del Tibet. Questo vessillo mi è stato consegnato, assieme alla bandiera della Pace nel Mondo e la bandiera italiana. Il tutto a Reggio Emilia, presso la Casa del Tibet. Qui, nel 2010 sono stato nominato sportivo dell’anno e i monaci tibetani mi hanno regalato il mandala con la consegna di disperdere la sabbia colorata che lo componeva nelle acque della cittadina Emiliana, a Quattro Castelli. Da quando la Cina ha annesso il Tibet, la bandiera tibetana è proibita e chi ne ha una si espone a pene severissime. Ho rischiato grosso ma ce l’ho fatta. Le sembra poco?
Capisco che per me oggi non è più tempo di raggiungere nuovi record, ma di trasmettere alle nuove generazioni tutti i valori che mi hanno accompagnato per l’intera vita. Tra questi, l’amore per la natura, le montagne. Tante esperienze mi hanno avvicinato sempre più a Dio. La sana competizione agonistica mi ha forgiato lo spirito ed il carattere al fine di essere un fedele testimoni dei valori più alti dell’uomo. Oggi più che mai avverto una sconfinata passione verso la dignità e la libertà dei popoli.
Per il futuro nutre qualche desiderio particolare?
In occasione della causa dei tibetani a non poter più professare liberamente la loro religione, sono stato invitato, come ospite, alla trasmissione televisiva “Alle falde del Kilimangiaro” di Licia Colò. Qui ho presentato il mio viaggio dal Nepal al Tibet, per il monte Everest. Molteplici. Nell’arco degli anni, sono state le mie presenze in trasmissioni televisive importanti andate in onda in ambito nazionale. Tra l’altro, la spedizione sull’Everest è stata trasmessa in Eurovisione. Numerose testate giornalistiche internazionali specializzate, ancora, come Tecnomontainbaik, M.T. Magazine, Tuttoturismo, si sono interessati delle mie spedizioni. Ho anche ottenuto interviste importanti su RAI 3 Calabria da parte dei giornalisti Pietro Melia ed Emanuela gemelli. Oggi più che mai sono presente per avvicinare molti giovani all’amore verso lo sport e la natura. Questo è il mio desiderio più grande.
Arcangelo Pugliese