L’Università della Terza Età, e la storia del Meridione


 “Ai trionfi avvezza” da 29 anni, l’Uniter supera se stessa con la presentazione del libro del professor Giuseppe Caridi su Ferrante I d’Aragona: sala zeppa, partecipazione attenta, senso profondo della storia. Complimenti alla presidente Sina Montebello, a Mario Nesticò, a Pasquale Martinello, e ai tutti i fedeli soci e amici.

 Amici e soci dell’Uniter sono sempre pronti; ma forse l’argomento era di quelli che suscitano non solo interesse, ma, in un certo senso, emozione. Caridi, infatti, prende le mosse da uno dei suoi numerosi e densi studi in particolare sul Meridione del XV secolo, per delineare le complesse vicende di re Ferdinando I, noto come Ferrante, che, succedendo nel 1458 al padre Alfonso il Magnanimo, attraversò un lungo e complesso periodo, affrontando la rivolta calabrese e l’attacco angioino del 1459; la guerra di Firenze e nello stesso tempo l’attacco turco a Otranto del 1480; la congiura dei baroni… alternando la forza con grande abilità diplomatica, volta a creare il possibile equilibrio tra gli Stati regionali italiani. Ecco la spiegazione dell’accattivante sottotitolo: “Quando il potere era a Sud”.

 Un equilibrio che finirà proprio quando la sua morte, nel 1494, lascerà campo libero a Carlo VIII re di Francia; poi a Francia e Spagna, con la fine della dinastia Aragonese indipendente di Napoli; e l’unione personale con il re d’Aragona Spagna e i suoi eredi Asburgo.

 Su quest’argomento in specie si sono inserite le acute domande poste da Martinello a Caridi:

1. Perché Alfonso lasciò al fratello Giovanni l’Aragona, la Sardegna, la Sicilia; ma a Ferrante il Regno di Napoli, con una precisa indicazione di autonomia del Meridione?

2. Un’idea di autonomia, incalza Martinello, che troviamo nel 1734 e nei trattati del 1737, che danno vita al Regno di Napoli e al Regno di Sicilia, entrambi con il sovrano indipendente Carlo di Borbone. E che sarà rispettata anche da Napoleone, sia pure a modo suo. E che forse poteva trovare una sua applicazione persino nel 1860…

3. Ma perché la casa d’Aragona di Napoli, dopo Ferrante e i suoi fugaci successori, non seppe o non poté reggersi?

 Stimolato da queste provocazioni, Caridi ha risposto, documenti alla mano, analizzando i fatti. Garbata e intelligente la sua esposizione, che non rifugge, come in ogni storiografo di razza e di tradizione classica, dall’episodio e dall’aneddoto: sfiorando elegantemente pure il pettegolezzo.

 Dicevamo dell’attenzione e partecipazione del pubblico. È un altro segno del rinnovato interesse per la storia meridionale, oggi diffuso. Diffuso troppo spesso malamente, e con sfrenate invenzioni di esagerate glorie ed esagerate sventure… ma speriamo sia una nefasta moda destinata a passare.

 È invece serio il bisogno di sapere, e in modo sia storiograficamente attendibile, sia popolare. È ora di quello che il Meridione non ha ancora creato: per un romanzo storico sulla disfida di Barletta dovette venire il piemontese Massimo d’Azeglio nel 1833! Seguito da un simpaticissimo film del 1976: fine. E invece la gente ha fame e sete di storia meridionale. Non si può continuare a passare sotto castelli e cattedrali e aree archeologiche – e Pietà del Gagini! – continuando a pensare che siano meteore cadute nel deserto!

 Servono dunque attendibili libri di storia come quelli di Caridi; ma serve anche un poco di storia popolare. L’Uniter fa il suo dovere, anzi molto di più.

Ulderico Nisticò