Mi autodenunzio, e mi autoassolvo…


 …a proposito di mafia e affini, e il tutto in un quarto d’ora, quanto ci vuole a scrivere le righe che leggerete.

Io, ai tempi in cui valeva la pena, ho percorso molte centinaia di migliaia di chilometri per conferenze, relazioni, convegni; e dico quelli in auto, e quasi sempre da solo. Quasi mai sono stato fermato da polizie, e mai perquisito. Se io avessi voluto, avrei trasportato un invisibile pacchettino di droga, lasciandolo per strada in un bar qualsiasi lungo la strada… Al ritorno mi avrebbero inondato di soldi, a patto, ovviamente, di non dare nell’occhio. Non l’ho fatto…

Ebbene, non tocca a me dimostrare di non averlo fatto; sarebbe toccato a chi di dovere inseguirmi, o almeno seguirmi, e controllare se a Bari, Napoli, Gaeta, Messina, Roma, Benevento, Salerno, Lecce, Calabria eccetera io tenevo effettivamente una conferenza su argomenti storici o politici eccetera; e se al ritorno mi fossi, come dicono in Toscana, rimpannucciato, cioè avessi mostrato improvvisi agi e lussi. Era un’indagine tutt’altro che difficile, bastando vedere eventuali mutamenti di condizione finanziaria, eccetera.

Non ho finito con le autoaccuse. In innumerevoli circostanze e nei luoghi suddetti e altri, io mi sono trovato in cene di enormi quantità e annaffiate da fiumi di vino, e in compagnia di molte decine di persone. Persone di cui, in un buon 75% dei casi, ignoravo non solo il certificato penale, bensì anche solo il nome.

Ebbene, in tali circostanze io ho sì attentato a trigliceridi e colesterolo, ma non ho commesso alcun reato; e non tocca a me dimostrare di non aver commesso reato. Se mai, toccherebbe a chi di dovere appurare come mai il signor XY, se sospetto, fosse a cena e non in gattabuia. Perciò mi assolvo dalle due autoaccuse in parola, e il processo è finito.

Se il mio vicino di tavolata era un delinquente, io non lo so e non ho alcun modo di saperlo. Ovvero, per incriminare qualcuno, o addirittura arrestarlo, non bastano quelle che il Gattopardo chiama “frequentazioni”; servono prove. “In dubiis, pro reo”, avverto chi di competenza.

Fermi lì, non sono improvvisamente diventato garantista della domenica. Se uno è acclarato colpevole, io sono per la di lui collocazione ai lavori forzati estivi senz’acqua, eccetera. Affermo però che una cosa è la giustizia, tutt’altra è il giustizialismo.

Quello che penso, è breve: i procedimenti giudiziari devono seguire precise regole di natura esclusivamente giuridica nel senso più letterale. Filosofia, teologia, antropologia, sociologia, storiografia eccetera, sono scienze nobilissime… quando sono scienze, e se si applicano con metodo scientifico; i sociologi e antropologi della domenica sono come i domenicali classicisti che prima s’inventavano gli sbarchi di Ulisse in alta montagna, e oggi scoprono re Italo ignorando che ne parla Tucidide nel V secolo avanti Cristo.

Quando io, classicista di mestiere, sento cose del genere, ci rido sopra, e leggo le fonti greche e latine in latino e greco. Non è colpa mia: a ognuno l’arte sua.

Così dovrebbe fare un operatore di giustizia (carabiniere, finanziere, agente, magistrato… ): fare l’arte sua con le regole dell’arte sua, lasciando “dir le genti”…

Ulderico Nisticò