Miniere in Calabria?


 Il governo vara un piano nazionale per studi mineralogici ed eventuale riapertura di antiche miniere. Ottima e autarchica intenzione. Ora vediamo se c’è qualcosa di calabrese.

Si legge nella cosiddetta Telamachia dell’Odissea che Mente va a Temesa a commerciare rame o bronzo in cambio di ferro. Secondo Strabone è la nostra Temesa, dalle parti di Amantea, e non una località di Cipro come pensavano altri. Ah, il rame!

Sappiamo di argento a Longobucco, e materiali ferrosi nelle Valli dell’Allaro e dello Stilaro, in particolare a Bivongi e Pazzano. Sono noti dai tempi di Kaulonìa (Monasterace Marina), e alimentavano le industrie di Stilo, infine di Mongiana. Nel 1846, Ferdinando II venne a Siderno per nave e proseguì a dorso di mulo a inaugurare una miniera ad Agnana.

Era importante il sale, con cave a Lungro e lungo il Neto. O si ricavava dal mare con buche oggi visibili a Poliporto. Poliporto, che nulla a che vedere con i Saraceni: ahahahahah.

Materiali più rari si estraevano sui monti, e fu per noi rilevante il quarzo di Davoli, trasportato con teleferica, poi con la Calabrolucana, e lavorato a Soverato. Se ne sono perse le tracce, o si può ancora fare qualcosa?

Si legge oggi di grafite in Sila. Ci sono, magari, delle terre rare? Per saperlo, ed eventualmente usarle, diamoci da fare. Buon lavoro. Lavoro, non trenta dirigenti e un operaio.

Ulderico Nisticò