Se ancora ci fossero dubbi sul caos che ruota attorno al complesso fenomeno della transizione ecologica e ai tentativi di indirizzare le strategie della transizione energetica, che della prima è diretta conseguenza, un ulteriore elemento di indeterminatezza lo ha aggiunto la presidente del Consiglio dei Ministri, on. Giorgia Meloni, nel corso del suo intervento alla 29sima sessione della COP – Conference of the Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change – i cui lavori quest’anno si sono svolti a Baku, capitale della repubblica dell’Azerbaijan.
La premier, dopo avere espresso un concetto secondo il quale “la natura va difesa con l’uomo al centro”, glissando in un sol colpo sui grandi temi delle cause antropiche di alterazione del clima e della mancata tutela dell’ambiente naturale, ha dichiarato il proprio sì alla produzione di energia elettrica pulita, sicura e illimitata dal processo di fusione nucleare, sottolineando nel contempo la necessità di mantenere un mix energetico che faccia ricorso a tutte le tecnologie disponibili, in quanto attualmente non esiste un’unica alternativa alle fonti fossili.
L’impressione che si ricava dalle parole della Meloni e, anche, dall’assenza a Baku del presidente americano uscente Biden, della presidente della Commissione europea Von der Leyen, del francese Macron, del cancelliere tedesco Scholz, del presidente cinese Xi Jinping, del presidente indiano Modi e del brasiliano Lula, è che i Governi nazionali più che a una scelta green della produzione di energia, che comunque prevede degli step di riduzione ed azzeramento di emissioni climalteranti al 2030 e al 2050, siano attenti a non indebolire i sistemi economici e produttivi e a mantenere alti i livelli di competitività su scala mondiale.
Sono, quindi, il sistema capitalistico e la logica dei profitti a guidare le scelte energetiche e a spingere verso l’incremento dei livelli di produzione di energia elettrica; in quest’ottica, l’Italia ha scelto di proporsi come hub energetico per l’Europa, individuando anche il Meridione come hub energetico nazionale; scelta rafforzata con un apparato normativo che da una parte agevola il rilascio delle concessioni alla costruzione di mega impianti eolici, fotovoltaici e agro fotovoltaici, e dall’altro sostiene tali concessioni con incentivi in favore delle Imprese costruttrici di detti impianti, che spesso sono colossi multinazionali.
In questo scenario, si colloca la richiesta di concessione per un Mega Impianto fotovoltaico offshore, composto da 37 aerogeneratori di 355 metri di altezza da posizionare nel Golfo di Squillace su una superficie complessiva di 252 chilometri quadrati, proposta dalla multinazionale spagnola Acciona Energia – Parco Eolico Flottante Enotria s.r.l..
Un Mega impianto che, fin dai suoi primi passi sui tavoli del Mase – Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica – e della Capitaneria di Porto di Crotone, ha destato le preoccupazioni dei cittadini calabresi, di numerosi Sindaci, costituitisi in Comitato, e di altrettante associazioni ambientaliste, fra cui la Sezione catanzarese di Italia Nostra e, in particolare, della sua socia avv. Natalina Raffaelli che, nel corposo fascicolo progettuale della Acciona, hanno ravvisato carenze di motivazioni, omissioni, dati insufficienti, inadeguati, ambigui, evasivi e inappropriati che sono stati oggetto di apposite Osservazioni notificate al Mase, con la richiesta di rigetto del Progetto per la realizzazione del Parco Eolico Flottante che costituirebbe l’ennesimo episodio di colonizzazione e di sfruttamento del territorio calabrese per un’ipocrita speculazione energetica, che danneggia ambiente e soldi dei cittadini.
Le ragioni del no di Italia Nostra non sono, pertanto, dettate da una preclusione ideologica verso l’energia prodotta da fonti rinnovabili, bensì sono mirate a scongiurare che il mare di Calabria, e lo Jonio in particolare, venga trasformato in una piattaforma produttiva destinata alla servitù energetica, che sarebbe causa di una grave compromissione di tutti i comparti produttivi che sostengono l’economia calabrese e sfocerebbe in una reale quanto pericolosissima sostituzione paesaggistica, ambientale e culturale, economico-sociale e, soprattutto, identitaria.
Foto estratta dagli elaborati di progetto esistenti sul sito del Ministero