Non è facile, o direi che è raro in Calabria poter disporre di documenti, e della capacità di leggerli. Moltissimi sono andati persi per terremoti, alluvioni e incendi; ma molti di più per una pessima abitudine, quella espressa con “chi voi si cosi vecchi”, con distruzione deliberata; o anche solo, ma è lo stesso, dimenticanza.
È dunque prezioso il lavoro di Daniele Tommaso Mellace nell’aver studiato con legittimo orgoglio e con doverosa acribia i documenti di famiglia, risalenti al XVI secolo, e con integrazioni di pazienti ricerche d’archivio.
Ci restituisce, è vero, una vicenda particolare, che direttamente riguarda i Mellace di Olivadi e lo stesso paese; ma crea un modello che va seguito dalla cultura calabrese per ricostruire aspetti della storia regionale, quindi, attraverso la microstoria, affacciarsi alla macrostoria. Il lavoro soccorre nel rispondere a una domanda che prima o poi tutti ci poniamo: cosa facevano i Mellace, cosa facevano gli abitanti di Olivadi e i Calabresi in generale, mentre regnavano i Romei, i Normanni, gli Svevi, gli Angiò, gli Aragona, gli Asburgo con i viceré, i Borbone, e c’era e c’è lo Stato unitario monarchico e repubblicano? Più esattamente, quale era il rapporto con quella storia politica, e in che modo e fino a che punto la storia politica incideva sulla vita quotidiana di casate di notabili, come i Mellace, e dei loro conterranei ecclesiastici, artigiani, contadini, pastori? Alla fine, vogliamo dire la stragrande maggioranza della popolazione.
E qual era la funzione sociale, nei piccoli paesi, dei notabili? Come influivano sui rapporti di lavoro e di produzione? Come organizzavano le attività di agricoltura e allevamento e commercio, quindi diciamo la realtà quotidiana? Come costituivano, cosa importante, il tramite fra le comunità locali e le autorità statali, feudali, ecclesiastiche? Come assimilavano istruzione e cultura, e come la riverberavano, in qualche modo, anche sui ceti mento fortunati?
Tutto questo, e molto altro, sono il merito di un libro denso da leggere, eppure avvincente per la capacità di riportarci nei secoli, e non in maniera romanzesca, ma con la serietà del documento. Un libro da studiare, eppure non pesante.
Infine, una meritata parola sul pubblico di Olivadi, che ha affollato la Biblioteca, mostrando molto interesse e partecipazione.
Ulderico Nisticò