Opera d’arte di Nicola Bevacqua


In occasione della donazione dell’istallazione: “Vedere nel non vedere” da parte dello scultore Nicola Bevacqua allo spazio museale il “Giardino delle Arti” dell’Associazione Karolar Wojtyla di Catanzaro, abbiamo incontrato l’artista al fine di comprendere le motivazioni di questo gesto importante e approfondire i contenuti dell’opera stessa.
“Ho inteso aderire a questa vostra iniziativa” – ci ha riferito – “perché in una città come Catanzaro, poco sensibile all’arte, ogni attività volta a stimolare l’amore e la vicinanza alla “Bellezza” è meritoria ed importante.
Da piccolissimo non ero attratto dall’arte, non avevo dimestichezza né con la matita, né con i colori. Un giorno però sono stato incuriosito da un lavoro di un mio cugino che aveva disegnato delle rocce in un corso d’acqua. Questa è stata la molla che ha fatto scoccare la mia ricerca verso la creatività. Un altro incontro importante lo devo ad un lavoro dell’artista Giuseppe Arciboldo presente sul libro di testo delle scuole elementari che ritraeva Rodolfo D’asburgo, opera realizzata alla fine del 1500, dove il monarca era immortalato con in testa frutta, verdura, pesci. Questa è un’immagine che tutt’ora mi accompagna nei miei pensieri creativi. Da qui, poi, mi sono avvicinato alle opere del rinascimento, del barocco; ai macchiaioli, agli impressionisti e post impressionisti. Come giovane non mi è stato facile apprezzare, in un primo momento, le avanguardie come: il dadaismo o l’espressionismo. Il surrealismo di Dali, invece, l’ho accolto meglio perché qui è sempre presente la figura, anche se viene stravolta. Infine la vera rivoluzione in me è avvenuta apprezzando Marcel Ducamp, artista senza il quale non si potrebbe fare tutto quello che nell’arte si esprime oggi. E per il quale un oggetto di uso comune, se lo si inserisce in un contesto diverso, diventa una vera e propria opera d’arte.

Presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro sto completando la specialistica di scultura, ma prima di tutto mi sento pittore. Solo una volta giunto in Accademia ho accettato l’arte contemporanea del Novecento in poi. E solo da poco tempo a questa parte, sto elaborando dei modi nuovi di fare arte. Gli stimoli li si ha guardando tutto ciò che ci circonda. In base alla propria cultura artistica si riesce a riflettere meglio su sé stesso ponendosi delle domande esistenziali come: perché mi trovo qui? Esiste una vita passata? cosa è l’aldilà? Affronto queste tematiche attraverso la dimensione del tempo e dello spazio, che sono le dimensioni che governano il nostro universo, almeno quello che conosciamo. Da questo tentativo di scoperta del tempo e dello spazio, nascono i miei lavori. Nello studio di ricerca, fondamentali sono i concetti di retta parallela e l’elemento del fiume. Oltre a questi due capisaldi espressivi che nascono all’inizio della mia ricerca, poi sopraggiunge lo stato della staticità. Solo attraverso la staticità si può superare il tempo. Ossia, è come se noi ponessimo una montagna al centro di un fiume o sulla sua superficie. La nostra azione impedirebbe il defluire dell’acqua stessa. Quindi, è come se bloccassimo il tempo, senza passato, presente e futuro. O addirittura c’è un tentativo concreto di superare il tempo stesso. A tal fine non cerco di correre più veloce del tempo stesso perché ogni movimento avviene sempre nella stessa dimensione. Invece con la staticità assoluta, che non ha a che fare con la staticità che conosciamo di un corpo fisso come una pietra o una montagna, è tutto diverso. All’interno della pietra stessa vi sono dei micro spostamenti, micro minerali, piccoli microorganismi. Ancor di più nella montagna vi sono alberi, animali, fiumi ecc… Nella mia staticità che non fa parte del nostro universo, c’è una staticità assoluta, metafisica, o per meglio dire anomala. Si va aldilà restando fermi, immobili.
Nell’opera che ho realizzato per il Giardino delle Arti dell’Associazione Karol Wojtyla di Catanzaro, ho utilizzato degli oggetti di recupero. Ridare vita a qualcosa che la società contemporanea reputa persa, di scarto, è un’operazione alquanto affascinante. Si va aldilà dell’oggetto stesso. Ed ecco allora che un guscio di una vecchia lavatrice recuperata e ridipinta, compone il rettangolo in basso, mentre in alto le due lastre di marmo di colore diverso, bianco e marrone, sono separate da una retta parallela trasversale. Questa retta parte dal basso all’inizio tra i due marmi. Ed è come se stesse interamente percorrendo le due lastre stesse. Il marmo che noi leggiamo è come un elemento statico e tende ad oscurare ciò che non vediamo. Possiamo tentare di osservare ciò che non è o che non vediamo solo attraverso la retta stessa.
Nel tentativo di capire questa dimensione si rientra in una sorta di staticità assoluta, quindi, si tenta di andare oltre il tempo e lo spazio e per fare ciò dobbiamo svuotarci.
L’elemento concettuale dello svuotamento nell’opera è l’elemento in basso. Nel caso specifico il guscio del contenitore della lavatrice recuperato è ridipinto di nero. Questo contenitore nel suo interno accoglierà una molteplicità di pietre. In questo caso l’opera diventa dinamica perché lo spettatore, come in una sorta di rito, prende con sé uno di questi sassi contribuendo a svuotare e svuotarsi dagli eccessi. Solo uno e non più di un sasso perché più persone devono contribuire a svuotare il contenitore stesso e svuotarsi a propria volta. In sostanza dobbiamo svuotarci dagli eccessi. L’uomo, oggi più che mai, è colmo di troppi vizi, troppi falsi convincimenti, troppi pregiudizi. Solo svuotando noi stessi possiamo tentare di vedere oltre. L’arte non dà risposte. Noi non possiamo sapere o concepire cosa c’è oltre. Però possiamo provare ad avvicinarci alla comprensione di questo ignoto attraverso il nostro svuotamento. Qui sta il gioco: dopo che mi svuoto, non tutto sarà chiaro, non ci troveremo davanti alla risposta, ma saremo più completi per intraprendere nuove strade che ci indirizzeranno verso la “Verità”. Quella verità che non tutti possiamo percepire allo stesso modo ma che di sicuro ci apre verso nuovi orizzonti.
Per il futuro mi piacerebbe molto diventare un artista sperando di riuscire a lavorare nel campo dell’arte stessa. Entrambe sono due cose differenti: l’essere artista è un percorso ed un dono magnifico che si ha per tutta la vita. Mentre per lavorare come artista, importante è la componente della fortuna e del consenso degli altri. Spero tanto di riuscire ad entrare nei circuiti che danno la possibilità a chi è creativo di vivere d’arte. Grazie a voi per aver creduto in un giovane che ha tanta voglia di crescere ed affermarsi”

Arcangelo Pugliese


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