Patrimoniale e giustizia sociale: no, grazie.


 Detto così, pare quasi una cosa semplice, bella e facile: pigliamo i soldi ai ricchi e li diamo ai poveri. E che ci vuole? Mandiamo i giannizzeri, e ordiniamo ai nababbi di aprire le casseforti, consegnando rubini e collane e monete e diamanti; e, dalle cantine, vino e soppressate; o, per i vegani, fagioli e fave, tranne i pitagorici che la fave non le possono mangiare non si sa perché.

 Qualche superficiale lettore dei Testi Sacri darà supporto teologico: Vendi tutti i tuoi beni e da’ il ricavato ai poveri. Ma era una provocazione di Cristo: se il giovane ricco avesse, attenti, venduto, l’unico risultato sarebbe stato che si sarebbero arricchiti i compratori (legge della domanda e dell’offerta, no?), e i poveri, fatta una serata di baldoria con i soldi dell’ex ricco, e commessi non pochi peccati, sarebbero restati poveri.

 Facciamo esempi storici? La rivoluzione francese, e soprattutto i governi napoleonici e postnapoleonici, confiscarono le terre della Chiesa e le vendettero, notate la democrazia, a tutti. NOTA: in Calabria era già accaduto dopo il terremoto del 1783, con la Cassa Sacra. Cosa successe? Che le terre, vendute a tutti, vennero in realtà comprate da pochissimi che avevano i contanti. Nacquero i latifondi che i professori disinformati chiamano medioevali; e i neoricchi li spacciarono per eredità dei nobili antenati di ritorno dalle Crociate, quando i loro oscuri nonni non avrebbero mai fatto, di crociate, nemmeno le parole, essendo analfabeti! Insomma, le confische delle terre della Chiesa furono, di fatto, una sottrazione ai poveri, non un regalo.

 Avete sentito la frasetta “Perché il Vaticano non vende le sue ricchezze?” Ebbene, finirebbe così: messi, da sabato a domenica, sul mercato immensi mucchi di oggetti, tra cui opere d’arte, la Pietà di Michelangelo ornerebbe la piscina di qualche miliardario americano protestante; e l’oro varrebbe un soldo per effetto dell’inflazione. Passata la festa, gabbati i santi: è proprio il caso di dirlo.

 A proposito. Cosa se ne farebbero, i poveri dei soldi? Beh, i poveri di dividono in due categorie: gli sfortunati e gli incapaci; i soldi degli incapaci finirebbero in un Carnevale gratis.

 E gli sfortunati? Vanno aiutati a lavorare. È solo con il lavoro che si produce qualcosa, e solo con la produzione si crea la ricchezza, e solo se c’è la ricchezza, la ricchezza si può distribuire; anzi, si distribuisce da sola. In parti disuguali, certo: ma, ragazzi, pure io ho studiato la trigonometria e non me ne ricordo niente; e un discreto 90% di quelli che hanno studiato a scuola il greco non aveva e non ha la minima idea dell’aoristo secondo passivo, anzi manco delle declinazioni. Campano lo stesso, e molti sono più felici di me anche se non saprebbero mai distinguere este da espàre; e, francamente, non credo gliene impipi un bel nulla. L’uguaglianza è una nevrosi per radical chic.

 E noi di qui? Se la Calabria ricevesse il 101% dei soldi europei, li dovrebbe spendere a Milano perché qui non c’è niente da comprare, e tanto meno alta tecnologia… beh, tecnologia in genere. I Calabresi, divenuti improvvisamente, ricchissimi per un giorno, arricchirebbero tutti tranne la Calabria. Fatevi un giro per i negozi, e ditemi quanta roba trovate prodotta in terre calabre. Non è dunque una questione di quattrini, ma di produzione e organizzazione.

 Con il turismo di sei mesi, Soverato diventerebbe ricca davvero; e, mettendo in tavola ai turisti salame e formaggio calabresi, farebbe arricchire il territorio interno. Come si fa? Ma con il lavoro.

Ulderico Nisticò