Paul Getty e la Calabria contemporanea


Esce un film, titolo italiano “Tutti i soldi del mondo”, sul rapimento di Paul Getty III, avvenuto in Calabria nel 1973. Catturato in verità a Roma nel luglio, il ragazzo venne detenuto qui da noi fino a dicembre, mutilato di un’orecchia, rilasciato in cambio di un riscatto di un miliardo e settecento milioni di lire, una cifra notevole, per l’epoca. La vicenda in sé fu la solita mischianza di inefficienza dello Stato italiano e di misteri italiani e statunitensi, e non m’interessa più di tanto, se non per una curiosità.

Il Meridione, come si sa, è omertoso… in pubblico, ma spaventosamente chiacchierone in privato; e tante chiacchiere si fanno, che non è mai agevole scernere il vero dal falso e dall’immaginario che a furia di raccontarlo diventa vero. La premessa è necessaria perché io qui compia un’operazione di “relata refero”, ovvero riferisco quello che allora sentii, senza poter né smentire né confermare.

Mi dissero che in quella che ancora non si chiamava Locride, teatro del fatto, a lungo si usò tastarsi distrattamente un lobo se si nominava qualcuno ritenuto coinvolto; e di altri si facevano notare inspiegabili arricchimenti improvvisi; e mi venne fisicamente segnalata una donna anziana che, a sentire, avrebbe fatto da infermiera. Ripeto che la fantasia s’intrecciava con la realtà, però mi parve ovvio che un’operazione di rapimento non potesse essere condotta se non da un gruppo, con abbondante intervento della “società civile” di medici, farmacisti eccetera.

Questo, per la cronaca. La vicenda Getty è però fondamentale per comprendere tutta la cronaca nera e quella sociale della Calabria nell’ultimo ormai mezzo secolo.
La ndrangheta calabrese era un’antichissima consorteria di ἄνδρες ἀγαθοί (andres agathòi) di paese, volta alla propria conservazione e a qualche forma di autorità e di giustizia sommaria; ma così silenziosa che per secoli se ne ignorò, o si finse di ignorare l’esistenza. Come tutti i Meridionali, anche gli ndrangatisti facevano raro uso del denaro, e la loro “ricchezza” era fatta di beni. I “cuntrasti”, che vuol dire estranei e non oppositori, non dovevano sapere nulla; o al più pagavano un piccolo pizzo simbolico, restituito a furia di inviti a sovrumani pranzi e cene. Insomma, un fatto paesano, con qualche prosopopea di origine siciliana o napoletana, con i picciotti di giornata, i picciotti camorristi, e quel curioso “Comandante di un corpo di cavalleria formato”, che in realtà faceva il sarto a Reggio, e in vita sua credo fosse montato solo su un cavallo a dondolo.

La ndrangheta iniziò il salto di qualità con i rapimenti, da cui guadagnò improvvisamente valanghe di soldi, qualche volta pagati persino dai parenti, molto più spesso dallo Stato, per parare la squallida figura. Il denaro va investito, e si pensò di darsi agli stupefacenti, che intanto una cultura imbecille vantava segno di intellettuale modernità. I vecchi capi, che si opponevano a questo schifo, vennero eliminati, sia pure con tutti i riti e con tutto il rispetto previsti dal rituale degli ἀγαθοί.
Ed ecco che il mite comandante di una cavalleria immaginaria ebbe nipoti laureati in chimica e in economia, e la ndrangheta divenne la banda più famosa del mondo in fatto di disonestà, stringendo ottimi rapporti con i produttori sudamericani, e con le banche che riciclano volentieri il denaro che, insegna Vespasiano, non puzza.

Ma una tradizione di millenni deve pur giovare, e la stessa ndrangheta modernissima, e che manovra miliardi (di euro e dollari, mica lire!), ha la prudenza di mantenere il suo carattere metastorico, e sacrale (sacro non è affatto sinonimo di santo), con l’apparato di giuramenti, Osso Mastrosso Carcognosso, riti di non versare il vino in un certo modo e non brindare con acqua a un “saggio compagno”, e tanto meno a un “saggio mastro”, eccetera. Così il politicante e l’ingegnere e il professore eccetera sono anche “picciotti”, e devono obbedienza al grado superiore magari analfabeta. Beh, succede in tantissime organizzazioni.

Ecco la pericolosità della ndrangheta, la sua capacità di comportarsi nello stesso tempo come una consorteria tradizionale e come una banda ipermoderna. E tutto iniziò con il sequestro Getty.
Si può battere, la ndrangheta? Uh, e come niente: basta colpirne seriamente gli interessi finanziari. Marce e progetti a scuola, segue cena, non le fanno nemmeno un baffo.

Ulderico Nisticò


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *