Penelope, femmina e regina


 Splendida lezione di Mara Tiana, avvocato matrimonialista, su aspetti che, in apparenza, non sono d’amore, ma di qualcosa di più freddo, la legge. Ebbene, spiega la Tiani, è proprio la legge a rendere certo e solido e forte il matrimonio. Lo spiega avendo in mano il Codice Civile del 1942, che, per quanto da allora parzialmente modificato a tale proposito, resta il fondamento dell’istituto matrimoniale. E lo spiega attraverso quattro metafore: Terra, la coabitazione e collaborazione; Fuoco, il sesso non solo come piacere ma anche come dovere (ius in corpus); Acqua, la varietà delle sensazioni; Aria, un punto di riferimento superiore e divino. Si serve di preziosi filmati di danza, simbolo dell’unione.

 Interessanti i commenti del padrone di casa, dottor Tucci, di UN e, in mezzo a un numeroso e partecipe pubblico, Annie Jirikovsky.

 La densa serata si è conclusa con il richiamo al matrimonio del eccellenza della poesia: quello di Ulisse e Penelope.

Alla fine, tutta la letteratura occidentale deriva dall’Iliade e dall’Odissea, con la loro galleria di archetipi universali della mente umana individuale, comunitaria e politica. Penelope è la regina di Itaca, e, per quanto minacciata dai Proci, difende la sua casa e il suo potere, in fedele attesa del marito Ulisse. È dunque il modello perfetto di donna forte e salda e austera e dalla sana dimensione politica. Ma è anche femmina, e di lei si narrarono miti diversi. E chissà se essere corteggiata da tanti pretendenti non le abbia suscitato segrete emozioni?

 Questi i versi di UN, interpretati in danza dalla stessa Mara Tiani, con le musiche composte ed eseguite da Maria Melody Veraldi e la recitazione di Miriam Santopolo.

 Io, la figlia del nobile Icario, del sangue dell’audace Perseo,

io che non meno di Elena, la mia congiunta sfacciata,

nella mia casa di pietra, ancora appena fiore di vergine

contai pretendenti famosi da tutta l’Ellade illustre,

e mi portarono doni, e perle e oro e pavoni,

mostrando ricchezza e potere; e io, sorridendo mio padre,

tra tutti scelsi quello più povero, e senza avere avi gli dei,

e re di una piccola isola di rocce, ma saggio nel cuore,

io di nuovo qui attorno vedo molti bramosi di me,

e volano intorno lusinghe: “O è morto già Ulisse, il tuo sposo,

o qualche Sirena lo tiene, o qualche dea nascosta del mare,

e si sta scordando di te”. Così qualche volta mi dicono,

e: “Ma prendi uno di noi, che conosciamo i piaceri,

affinché non sfiorisca il tuo volto, non giungano precoci le rughe;

e quello ti condurrà da Afrodite, per la tua bellezza dorata”;

e io – nelle notti mi coglie, a volte, sotto forma di sogno

il desiderio soave, e di essere un’umile femmina,

e beate mille volte le schiave – io non fossi figlia di Icario,

io non fossi sposa di Ulisse… ora salda come la rupe,

io attendo che torni il mio uomo, cui porgerò prima l’arco,

poi, ripulito dal sangue, il letto sopra tronco d’ulivo.

Ulderico Nisticò