Chi vuole sapere cosa successe tra il 1734 e il 1861, quando il Meridione fu sotto la dinastia di Borbone, e non per questo finire in mari di chiacchiere e bufale e genocidi e ricchezze che mai furono, esistono libri seri. I libri sono quelle cose di carta che si stampano a spese di un’editrice e vendono nelle librerie, e si leggono. E qui mi permetto di ricordarlo a tutti quelli che mettono “mi piace” in Facebook, e poi passano dritti.
La Media di Borgia, volendo offrire ai suoi studenti uno strumento in più di conoscenza della storia, mi ha chiesto di presentarlo; e io, con l’uzzolo del teatro che ho, ho pensato bene di integrarlo con un poco di recita, simpaticamente affidata ad alcuni dei giovanissimi, che hanno impersonato uomini e donne di casa Borbone. Ora vi pubblico il testo: chi ha bisogno di chiarimenti, legga il libro.
CINQUE RE BORBONE
SCENA I: Carlo di Borbone, abito settecentesco
CARLO
Buenos dias, hermosa novias y firmos caballeros… beh, scusatemi, è l’abitudine di parlare castigliano, da quando, era l’anno 1759, dovetti partire da qui per fare il re di Spagna, e lì mi chiamarono Carlo III.
Ma stavo comodo anche a Napoli e a Palermo, i miei due Regni italiani… ed ero stato anche comodissimo nel piccolo Ducato di mia madre, a Parma.
Un trasferimento continuo di troni, la mia vita. Beh, che volete? Chi nasce figlio di un re e di una duchessa erede, non è lo stesso di quando voi, tra poco, ragazzi, vi sceglierete una via di studi e un mestiere; macché, interviene l’alta politica, arrivano le guerre di successione… Insomma, non può fare quello che piace a lui.
Forse ora qualcuno queste cose ve le spiegherà con più ordine, magari un vecchio e noioso conferenziere. Io ero solo un principe e poi re, con poche scuole e tanta pratica di vita.
Che devo dirvi? Io credo di aver fatto del bene ai miei sudditi, a cominciare dall’averli restituiti, dopo due secoli e mezzo, all’indipendenza.
Sentite cosa fecero scrivere sotto l’obelisco di Bitonto. È in latino, ma ve benissimo anche in italiano.
A CARLO
INFANTE DI SPAGNA,
RE DI NAPOLI E DI SICILIA,
DUCA DI PARMA, PIACENZA, CASTRO,
GRAN PRINCIPE DI TOSCANA,
PERCHÉ, AL COMANDO DELL’ESERCITO SPAGNOLO,
SCONFISSE GLI AUSTRIACI
E POSE LE BASI DELL’INDIPENDENZA D’ITALIA,
I PUGLIESI E I SALENTINI
INNALZARONO QUESTO MONUMENTO
CARLO
Che io fossi il comandante dell’esercito, beh, è un modo di dire: ci pensò don Josè Carrillo, conte di Montemar.
Però mi ricordo che c’ero anch’io in prima linea alla battaglia di Velletri, quando sconfiggemmo gli Austriaci. Niente di meno! Era… mi pare… il 1744.
Ora vi lascio, e vado a raggiungere la mia signora, Maria Amalia di Sassonia. A lei si devono le ceramiche di Capodimonte, che non è poco.
Hasta la vista, muchachas y muchachos.
[INTERVENTO DI U. N. SU 1734 E CARLO DI BORBONE]
SCENA II: Maria Carolina d’Asburgo Lorena, abito settecentesco; Ferdinando IV – III, abito ottocentesco
MARIA CAROLINA
I miei molti nemici dicevano, e dicono tuttora, che a comandare ero io al posto di mio marito. Un po’ è anche vero. E del resto, sono o non solo la figlia di Maria Teresa, imperatrice del Sacro Romano Impero e regina d’Ungheria e duchessa di Milano e altro, e di Francesco Stefano duca di Lorena poi granduca di Toscana e imperatore? E un’altra certa cosa che non vi posso dire: se mai, ve lo confesserà il duca di Girifalco, Caracciolo.
E io non fui certo come la mia povera sorella Maria Antonietta, e se regina di Francia fossi stata io, in quel 1789, o tagliavo la testa a tutti i rivoluzionari, oppure la rivoluzione la facevo io. Qui mi dovetti contentare di una formidabile reazione con il cardinale Ruffo e la Santa Fede… e trovai il modo di attribuire tutti i meriti a me. Meriti, o demeriti, secondo i punti di vista. Tuttora, infatti, è costume, tra gli illuministi e loro epigoni, dir male non tanto di re Ferdinando, dir male di me, la regina Maria Carolina. Diciamo che me ne onoro.
FERDINANDO
Che v’ajj’a dìcere? Una sposa piuttosto ingombrante, per un re tranquillo quale mi sarebbe piaciuto restare, se non si mettevano in mezzo lei, i giacobini nostrani e forestieri, poi Napoleone e Giuseppe e Gioacchino, poi i liberali e Guglielmo Pepe… Un regno troppo lungo, lo ammetto: pensate, da quando papà Carlo partì per la Spagna, a quando sono passato a miglior vita io, nel 1825: sessantasei anni, un brutto numero. E ne ho viste, ne ho viste: terremoti, guerre, due esili, un moto costituzionale; e pure un cambio di titolo e di numerazione. E due epoche, due mondi, due modi di pensare; e non dico diversi, dico contrari. Sì, troppo per un uomo solo.
Un poco di pace l’avevo pigliata, e non vi paia strano, quando pescavo tra i miei amici e sudditi a Santa Lucia, e poi vendevo il pesce alla bancarella: me l’ero faticato, no? Un re plebeo, dissero di me, lazzarone; però la gente proprio per questo mi voleva bene.
Omaggi, mia regina. E non state a sentire le malelingue: tra me e donna Lucia, la duchessa di Villa Floridia, c’è solo un’affettuosa amicizia.
Maria Carolina e Ferdinando vanno a sedersi.
[INTERVENTO DI U. N. SU FERDINANDO IV – III POI I]
SCENA III: Francesco I, abito ottocentesco; Carolina, abito ottocentesco più moderno
FRANCESCO I
Io nemmeno ci volevo venire, e ora che mi ci hanno costretto, ho poco da dirvi. Cinque anni durò il mio regno, ed ero già abbastanza vecchio e annoiato. Già, nacqui nel 1777, e mi chiamarono Francesco di Paola come il vostro santo. Se mi poteva fare una grazia, sapete che gli avrei chiesto? Che mi lasciasse ai miei studi di botanica: sull’argomento ho scritto pure due trattati.
Raro caso, tra i re del mio tempo. Sì lo so che Federico II scrisse “De arte venandi cum avibus” e varie poesie, ma era lo “stupor mundi”, era lui, e, con tutto il rispetto per i Borbone, non vorrete mica fare paragoni, vero? Per riassumere, la mia vita fu più da principe ereditario all’ombra di papà e soprattutto di mamma Maria Carolina.
Mi sposai due volte, la prima con una cugina austriaca e l’altra con una parente spagnola; ed ebbi un nugolo di figli, molti ben combinati in matrimonio:
Ferdinando, il re;
Luisa Carlotta, Maria Amalia e Maria Carolina, con nozze reali spagnole;
Maria Cristina, regina di Spagna;
Maria Antonietta, granduchessa di Toscana;
Teresa Cristina, imperatrice del Brasile, pensate un po’: ancora la ricordano, e la chiamano La madre dei Brasiliani;
eccetera;
e poi… eccola qui!
CAROLINA
Di me, parlo io. E invece di cominciare con i re e la politica, sapete da dove voglio iniziare? Dai bagni di mare. E già, perché io, proprio io un bel giorno che avevo caldo, ordinai che mi conducessero sopra una spiaggia francese, e, fatto un cordone di soldati per evitare a qualcuno la fine di Atteone, mi son tuffata in acqua, e diedi così inizio alla moda che dura tuttora. E non vi dico di teatri, mecenatismo, quadri, poesie, amicizie… beh, fermiamoci. Sì, ero davvero un bel tipo, io, Carolina di Borbone Due Sicilie, per matrimonio duchessa del Berry.
Sapeste, quei fatti complicati: mio suocero Carlo X, gran reazionario; e mio marito Carlo Ferdinando, l’assassinarono per questo. Poi cadde il ramo principale, fecero la monarchia borghese, la repubblica, un altro impero… ma io non trovai riposo, sperando di far sedere sul trono mio figlio Enrico di Chambord, il figlio del miracolo. Il mio dovere dinastico fino all’ultimo.
[INTERVENTO DI U. N. SU FRANCESCO I E CAROLINA DEL BERRY]
Francesco I e Carolina vanno a sedersi.
SCENA IV: Ferdinando II, divisa ottocentesca
FERDINANDO II
Non pensate che io abbia lavorato troppo, per questo mio Reame? Sì, secondo me è perciò che morii presto: non avevo chi mi aiutasse, e, ora che guardo al passato dal mondo dei più, nemmeno mi facevo aiutare; ero davvero troppo sospettoso. Tutto io, troppo io, Ferdinando II. Vent’anni avevo quando divenni re. Ero forte, da giovane, e mi diedi tutto allo Stato. C’erano tasse, le diminuii; riserve di caccia del re, ne diedi alcune alle coltivazioni; bonificai paludi; migliorai la giustizia e le forze armate; permisi gli studi e favorii le scienze; sostenni l’industria e i commerci, e in particolare la navigazione.
Visitavo il Regno, a volte arrivando quando non mi aspettavano. Più volte fui in Calabria, dove c’è ancora la Ferdinandea; e Rocca Ferdinandea si chiamava quella che oggi è Rocca di Neto.
I miei nemici non si placarono per questo, anzi tanto più il popolo era con me, tanto più mi odiavano. Patii ingratitudine anche nella mia famiglia.
Sapete che accadde il 15 maggio del 1848, proprio quando io, primo in Italia, avevo concesso la costituzione. Poi il popolo non ne volle più sentire.
Se qualche colpa ho commesso, fu di non aver cercato alleati; e non aver educato l’erede al duro mestiere di re.
Però, sentite cosa ha scritto di me il poeta Ferdinando Russo
VOCE
[alcuni versi da “O lucïano do Re”
‘O Rre me canusceva e me sapeva!
Cchiù de na vota, (còppola e denocchie!)
m’ha fatto capì chello che vuleva!
E me sàglieno ‘e llacreme int’ all’uocchie!
‘A mano ncopp”a spalla me metteva:
“Tu nun si’ pennarulo e nun t’arruocchie!
Va ccà! Va llà! Fa chesto! Arape ‘a mano!„
E parlava accussì: napulitano!]
FERDINANDO II
E anche quelli che poi di me dissero peste e corna, sentite cosa scrivono, i liberaloni di Catanzaro, prima di diventare tutti quanti fedeli dei Savoia.
RE FERDINANDO II
NELLA FEDELISSIMA SUA CATANZARO GIUNGENDO
ADDÌ 11 OTTOBRE 1852
QUESTO TEMPIO SACRO ALL’IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA VERGINE
DA RE CARLO II NEL 1685
E POSCIA DALL’IMMORTALE CARLO III NEL 1755
DICHIARATO CAPPELLA REALE
VISITAVA ALLE ORE SETTE DELLA SERA
ED IVI, / ASSIEME ALLE LORO ALTEZZE IL DUCA DI CALABRIA E IL CONTE DI TRAPANI /
LA BENEDIZIONE DEL SANTO DEI SANTI RICEVEA
TRA LE PRECI ED I VOTI DEI CATANZARESI RICONOSCENTI
LA REGIA ARCICONFRATERNITA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE DI CATANZARO
A DURATURA MEMORIA DEL FAUSTO AVVENIMENTO
LUI PERMETTENTE
A SUPPLICA DEL PRIORE CAVALIER FILIPPO DE NOBILI
QUESTA PIETRA POSAVA
NEL 1853
Ferdinando II va a sedersi.
[INTERVENTO DI U. N. SU FERDINANDO II]
Entrano Maria e Francesco II
MARIA SOFIA
Un uomo onesto e buono, l’ultimo re delle Due Sicilie, mio marito Francesco II. Se bastasse, avrebbe conservato il trono. Non basta, lo sappiamo, e pochi tagliagole abbatterono un Regno di ottocento anni. Ma è passato tanto tempo, e lo stesso Francesco è morto trent’anni fa; e le Due Sicilie non ci sono da… eh, siamo nel 1925, da più di sessant’anni le Due Sicilie non ci sono. Si poteva… si poteva combattere per mare prima di Marsala, per terra a Calatafimi, a Palermo… Si poteva? Parole inutili. Forse re Ferdinando… oppure un cardinale Ruffo… oppure, sentite che sogno vano per una donna ormai così vecchia, oppure io stessa. Ricordo, a Gaeta, sugli spalti, sotto i colpi dei cannoni di Vittorio Emanuele, i soldati si battevano e morivano per me, se appena rivolgevo loro un sorriso. Per questo, credo, cantarono di me i poeti, quel vostro d’Annunzio. I poeti? Sarebbe stato più utile un buon generale, e non l’avevamo.
Francesco? Mi torna spesso questo pensiero, ora che sono alla vigilia della morte, che se avesse saputo, mio padre non me lo faceva sposare; e nemmeno a Sissi, quel suo legnoso imperatore d’Austria. Il duca Massimiliano ci aveva insegnato a cavalcare, a scalare montagne… ci stavano meglio per mariti due giovanottoni bavaresi nutriti a birra e crauti, che due sovrani dagli eccessivi scrupoli. Ah, se non temessi di essere indiscreta, Francesco… Ma anche queste faccende sono oramai molto antiche.
Vattene, anima buona di Francesco II delle Due Sicilie, accanto alla tua santa madre Maria Cristina.
Francesco II si allontana…
MARIA SOFIA
Domani, credo, sarò con te nel regno delle ombre, se non siamo stati assieme nel regno dei vivi.
[INTERVENTO DI U. N. SU FRANCESCO II]
Ulderico Nisticò