Perché in Calabria non c’è turismo culturale, e che fare


Ad un cortese intervistatore, il quale mi chiedeva come mai sia così difficile, in Calabria, fare turismo culturale, ho risposto così:

1. La Calabria è zeppa di luoghi e memorie, non meno di nessuna altra terra, anzi molto di più di tante: preistoria, protostoria, colonie greche, memorie bruzie, città romane, arte bizantina, medioevale, moderna…
2. Tanti altri, con meno di noi, campano alla grande di turismo culturale; però gli altri ci sanno fare, e noi no.
3. È quanto mai carente l’organizzazione, e ciò è sotto gli occhi di tutti.
4. Ma, il peggio… e qui ci vuole un capoverso a parte.

La Calabria, fin da due millenni prima che si chiamasse così, ebbe, in media, tanta cultura quanto quasi tutti gli altri, eccetto Atene, Roma, Firenze e, fatta la tara dell’enfasi, Parigi. Eccelle nella filosofia, con l’orfismo, il pitagorismo, Cassiodoro, Gioacchino, Telesio, Campanella… Vantò per secoli una solidissima tradizione giuridica. Mattia Preti è un nome. Non mancarono gli scienziati: i Giglio, l’Anania, Tommaso Cornelio. Quanto ai santi, Francesco di Paola fu (notate il fu) veneratissimo in Italia, Francia, Spagna, Germania… Non ci manca niente.
Quanto ai luoghi, l’elenco è sterminato, e spero (spero!) sia superfluo scriverne.
E allora, come mai non facciamo turismo culturale? Semplicissimo: per due peccati originali, noumenici, insiti nel calabro DNA: l’erudizione scolastica e il politicamente corretto.

L’erudizione scolastica, per capirci, è come l’aspirina: è utile, spesso necessaria, però non ho mai visto qualcuno ballare felice e contento gridando “Stasera l’aspirina!”; mentre ho visto, e non solo visto, tantissimi esultare alla prospettiva, per la sera seguente, di soppressate e vino. Non so se è chiaro!

Il dotto calabrese, esclusi i presenti, è, detto in generale, depresso triste greve monotono luttuoso lento pesante prevedibile; non sorride mai, e quando ride, raramente, sembra un film dell’orrore. Ed è anche un isolato dal mondo, perciò pensa seriamente che alla gente interessi sul serio se la tale città greca sia stata fondata o meno nell’anno X invece che Y; e non viene mai sfiorato dal dubbio che entrambe le date siano campate in aria.
Unico caso al mondo tra le circa 150 invenzioni su Ulisse (tra cui Indonesia, America, Inghilterra, la Luna… ), solo in Calabria succede che piglino sul serio lo sbarco del ramingo e donnaiolo eroe.

E almeno la Magna Grecia l’hanno sentita nominare! Completamente ignoti sono sette secoli di romanità; mentre gli altri sei secoli, quelli bizantini, sono rigorosamente composti tutti di monaci, ovviamente casti. Segue fucilazione di Murat, ma chi costui fosse e perché lo schioppettarono, sorvolano.
Ah, dimenticavo l’antimafia segue cena.
Insomma, annoiati e noiosi, i nostri dotti annoiano il popolo. Figuratevi un turista, se pagherebbe per essere annoiato.
E che dire del politicamente corretto? L’erudito calabrese è anche bacchettone, e crede che veramente ci siano in giro i buoni e i cattivi, e i cattivi si riconoscano dalla faccia e i buoni pure (Lombroso docet!); e che i buoni abbiano una straordinaria e collaborativa capacità di farsi ammazzare dai cattivi; e di tale suicida tendenza dovremmo seguire l’esempio per essere buoni, ovvio, secondo loro. Il turista, ma anche l’indigeno, si affrettano a pronunziare l’immortale “Terque quaterque… ”, con relativi irriferibili gesti scaramantici. E alla prossima gita, non vengono più.

Riassunto: se vogliamo fare turismo culturale in Calabria, dobbiamo affidarci a tutti tranne moralisti e dotti di professione. Serve far sapere che a Scolacium la gente mangiava beveva dormiva vestiva panni; andava a teatro ed anfiteatro e in altri luoghi che non vi dico; parlava bene dei morti durante i funerali e male subito dopo… Erano persone e non pupazzetti di filosofi se greci e militari se romani e fraticelli se bizantini.

Ulderico Nisticò


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