Si legge che la Calabria, degna erede della Magna Grecia e perciò notoriamente coltissima ecceterissima, è la prima in Italia per numero di 100/100 alla maturità, con un enorme percentuale di 100 e lode. Ragazzi, non per niente siamo la terra di Stesicoro, Ibico, Alessi, Nosside, Alcmeone, Democede… ammesso che qualcuno li abbia mai sentiti nominare; e ci sarebbero anche di più recenti, ma l’unico ricordato è Campanella, e perché finì in galera, mica per la Metafisica. Gioacchino da Fiore, chi era costui?
Comunque, la Calabria è la prima. Persino i giornali insinuano che è l’effetto covid e l’esame senza scritti… insomma, un diploma di guerra. Ma io ricordo che non è la prima volta, e in non so quale calabrese liceo, anni fa, salirono agli astri i 110 e lode. Mi intervistò a tale proposito il Corriere della sera, e io risposi tra lacrime e sorrisi.
Poi mi ricordo che, nel 1965, V ginnasio, don Mariani, studiandosi la Ciropedia, mi chiese perché la collana si chiamasse streptòn, una domanda da esame universitario di glottologia; e io, con atteggiamento di sufficienza, risposi che ovvio, da strepho, avvolgere; ed egli, dopo aver gridato al mondo quanto io fossi bravo, mi diede il voto di sei e mezzo! Esagerato: io mi sarei spinto anche a sette. Sì, ma a quei tempi, nel 1968, ultimo esame di maturità vero, la mia media tra le materia, ben 8.1, uscì sui giornali. Oggi qualsiasi padre farebbe ricorso al TAR, se dessero solo 81 alla graziosa e studiosa figliola. E vincerebbe, ovvio, più ovvio dell’attorto monile di Abradata e Pantea, coniugi persiani.
Dove voglio arrivare? Al mio timore, soprattutto in ottica calabrese, per la teratopoiesi, ovvero creazione di prodigi, di mostri (teras). Ne ho visti, di “Quant’è istruito, Quanto s’impegna, Quanti voti alti…”, e poi clamorosamente fallire o già all’università, o nella vita; e portarsi dietro tante cupe frustrazioni e nevrosi e fantasie morbose di sbarchi di Ulisse ogni venti chilometri, e simili contorcimenti mentali.
Poi ci sono quelli che, agli occhi dei parenti e amici, mostri erano e mostri sono rimasti: “Mio cugino ha un posto, a Varese…”; e vi lascio fantasticare e ridere.
E poi, ci sono i Mostri ufficiali: il grande poeta, il grande scrittore, il premio letterario Frittola con €… persino il grande politico; e gli intitolano vie, in riconoscimento di non si sa quali meriti. E, dopo Michele Bianchi e Luigi Razza, non c’è un calabrese che abbia davvero contato qualcosa sotto lo Stretto e sopra il Pollino.
Se domandi che libri scrisse, che gesta compì, quali leggi varò… i vicemostri, amici e parenti del mostro, cadono dal pero.
“Ma tu non sai che uomo di cultura è… ”. Appunto, non lo so, perché non fece mai nulla per darcelo a sapere.
Colleghi, fermatevi, con la teratopoiesi: fate solo del male. Essa priva gli allievi, e peggio le mamme, di senso critico e della virtù dell’autocritica e dell’aureo “so di non sapere”; e crea stuoli di ignoranti saccenti e presuntuosi. E figuratevi se da certe scuole esce qualcuno robustamente munito di senso dell’ironia e autoironia!
Io, un tempo insegnante, certo con tale peccato teratopoetico non mi presenterò a Minosse, altro personaggio che attorciglia, però la coda.
Ulderico Nisticò