Pessimo giornalismo da Locri


 I quattro giorni di antimafia a Locri sono stati e sono raccontati da un pessimo giornalismo di due segni diversi: sabato 18 e domenica 19, stando alle cronache e soprattutto al Tg Calabria, il 99,9% della popolazione locrese e dintorni, anzi dell’intera regione, e in particolare i giovani, hanno partecipato, e oggi martedì 21 parteciperanno, con il massimo e spontaneo entusiasmo; dimostrando così che il 99,9 è contro la mafia; e lasciando negli spettatori cinici un interrogativo: dov’è lo 0,1 mafioso? E l’altro: com’è che un giorno dite essere “una sparuta minoranza”, e l’altro che è “l’organizzazione criminale più potente del mondo”, mondo? E l’altro: se la ‘ndrangheta è “una sparuta minoranza”, non dovrebbe bastare una pattuglia di carabinieri, senza dover nobilitare folle oceaniche a sentire discorsi?

 Discorsi grondanti retorica, a onta di chi, intervistato a tutto spiano, ripeteva “non è retorica”: excusatio non petita, accusatio manifesta!

 Nei discorsi, la mafia è stata accusata di tutto, ivi inclusi il Diluvio Universale e l’incendio di Roma; mentre, tra le righe, aleggiava il concetto che invece in Calabria la politica e la magistratura e la burocrazia vanno benissimo: tutti onestissimi e tutti alacrissimi. Come poi la Calabria sia l’ultima regione d’Italia e la terzultima d’Europa preceduta solo da due lande deserte, alla fine, scusate, reverendo, e scusate, signor presidente, non può essere colpa di una “una sparuta minoranza” di mafiosi che mangiano la capra nel corso di tristi conviti quasi muti.

 Ma il giornalismo ha fatto passare l’idea che il 99,9% dei Calabresi sia antimafia, tranne la suddetta “sparuta minoranza”. Pessimo giornalismo, che non fa inchiesta, ma solo da altoparlante del politicamente corretto e del sant’uomo o politico di passaggio.

 Il peggio, le due scritte sui muri, “una sparuta minoranza” dei molti muri di Locri, che non recano scritte pro mafia, o non ne recano affatto, o sono le solite “X ti amo” o roba ancora più demenziale. Siccome sono passati più di cinque decenni e spero il reato sia prescritto, io scrissi sul muro della Sapienza di Pisa, a caratteri cubitali, tale patriottica e identitaria epigrafe: “CON LE BUDELLA DI NIXON IMPICCHEREMO BREZNEV”; già, il 99,1% dei lettori manco si ricorda chi erano costoro cui intendevamo riservare il truculento destino. Fu una serata che andò dal massimo di rischio o di galera o di pelle, al massimo di umorismo goliardico; e ogni volta che ci penso, rido da solo come uno scemo; ma tre degli altri quattro ribaldi, tra cui una ragazza, sono ancora in vita.

 Sì, ma non è che il giorno dopo tutti i giornali del Pianeta e dintorni abbiano messo in prima pagina che Ulderico Nisticò, e con lui B. M., A. C., A. C. (parce sepulto) e B. M., ammesso ci beccassero, avevano minacciato di morte atroce i capi delle due superpotenze dell’epoca; e se Nixon cadde, fu per i suoi imbrogli e non certo per la nostra scritta.

 Ora, che il Corrierone e Repubblica eccetera, e le tv nazionali, aprano con la notizia che qualche disgraziato ha tinteggiato un muro, è un esempio di giornalismo cialtrone. La notizia in sé è insignificante: una scritta, mica una bomba o un colpo di pistola o almeno danneggiare le gomme di un auto… niente, è solo una scritta, una, forse due. Senza tutta questa grancassa, non l’avrebbe notata nessuno.

 E, sparare sulla Calabria, è sempre tirassegno a bersaglio fermo; tanto la Calabria non protesta.

 A meno che non serva a dimostrare che la mafia reagisce. Già, alla fine parrebbe buffo aver messo assieme tutto questo ambaradan antimafia, e che la mafia manco se lo fili: come in effetti è.

 E state a sentire uno che di Calabria se ne intende: tutto può accadere, tranne che la mafia calabrese si dia alla scrittura. Il vero ndrangatista di una volta era rigorosamente analfabeta, e ci teneva a morire tale; quelli di oggi sono tutti laureati in qualcosa, specialmente in chimica delle droghe, e non bighellonano di notte a scrivere sulle pareti: la mattina si devono svegliare presto a tagliare le dosi; e poi devono riciclare i proventi tramite onestissima banca della “zona grigia”. All’ora di pranzo, un elegante breakfast, altro che capra!

 Un corollario linguistico: e accidenti alla deformazione professionale! Tra i giornali, Repubblica ha mostrato anche un modello davvero curioso di ipercorrettismo. L’ipercorrettismo è quando un dialettofono vuole parlare italiano, e perciò dice “lopo” e non “lupo”. Repubblica ha coniato “Andrangheta”, misteriosamente refrattaria all’elisione dell’articolo: “la Andrangheta”.

 Inconsapevolmente, ci hanno azzeccato: ‘ndrangheta è una parola greca, formata da ἀνήρ (anèr: uomo, maschio, guerriero) e ἀγαθός (agathòs: valente, abile); ἀνδραγαθία si trova in Erodoto, V secolo a.C. Questa è l’etimologia; ve la spiego meglio un’altra volta. Ma è davvero trop de zèle, questa specie di arrangiata traduzione in lingua italiana.

 Insomma, pessimo giornalismo a, come dicono sempre i corrispondenti locali, “a trecentosessanta gradi”; via, anche settecentoventi.

Ulderico Nisticò


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