Anche nel Mediterraneo possono esserci degli tsunami. In Italia le zone dove maggiore è la probabilità sono la Sicilia orientale, la Calabria ionica, il Golfo di Taranto e il Salento. Lo indica la prima mappa di pericolosità degli tsunami generati da terremoti nell’area del Mediterraneo e dell’Atlantico nord-orientale e mari connessi (cosiddetta area NEAM), realizzata nell’ambito del progetto europeo Tsumaps-Neam, coordinato dall’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia).
«Si tratta di eventi rari, ma non impossibili e di grande impatto. Abbiamo realizzato una serie di mappe che fanno capire il grado di pericolosità, cioè la probabilità di avere un’inondazione in un certo periodo di tempo», spiega il sismologo Alessandro Amato.
Nel Mediterraneo le tre zone che possono generare i terremoti più forti, e quindi anche gli tsunami più grandi, sono: «L’arco ellenico, cioè la zona che va da Cefalonia a Rodi, l’arco di Cipro, che arriva fino al Libano, e l’arco Calabro», precisa Roberto Basili, coordinatore del progetto.
In Italia la «maggiore pericolosità si ha nella Sicilia orientale e lo Stretto di Messina, il Salento, la Calabria ionica e la Basilicata», prosegue. Nel Mediterraneo occidentale, altre zone di pericolosità, seppur minore, sono la Sardegna meridionale, la Sicilia e il Mar Ligure, perché ci sono delle faglie attive sulla costa nordafricana.
«In media più del 30% delle coste mappate con il progetto, area Neam di cui l’Italia è solo una piccola parte e tra le più pericolose – conclude Basili – possono subire uno tsunami con onde più alte di un metro ogni 2500 anni».