Precari, titolari e teratopoiesi


scuola2 Premessa necessaria. Un po’ dovunque, ma nel nostro Sud peggio, impazza di tanto in tanto una vera turba sociale, che io amo definire la teratopoiesi, ovvero creazione di un “teras”, mostro culturale, politico, sportivo, canoro; basta che mostro sia. Barocchi come siamo rimasti, a Sud, ci riempiamo la bocca di “grande scrittore”, “eroe”, “vittima” e roba del genere, mentre sarebbe saggio sottoporre qualsiasi cosa all’estrazione di una bella radice quadrata. Se, infatti, uno si sente proclamare mostro sacro, poi mostro sacro si sente davvero, e perde il senso del limite e il senso del ridicolo.

 Dopo il mostro regionale Corbelli, oggi è il mostro meridionale Saviano a piangere sulla “deportazione” degli insegnanti. Già andrebbe messo alla berlina di un comico, uno che fa uso di questi linguaggi infantili di fronte a un problema giuridico e umano, uno che per guadagnarsi pubblicità rende squallidi gli insegnati, e offende i deportati veri, i nostri profughi istriani e dalmati innanzitutto.

 Veniamo al problema. Da decenni, con innumerevoli ministri, generalmente democristiani ufficiali o ufficiosi, la Scuola è nel caos del personale, con posizioni giuridiche le più incerte e strambe. I precari (diciamo così, ma sono categorie variegate) lavoravano sì ogni anno, ma, come la parola dice, precariamente; di cattedra in cattedra; più o meno convinti di trovare un posticino anno per anno; e con grande danno della didattica.

 E già, o Corbelli, e o Saviano: la Scuola non ha come scopo il professore ma l’allievo; e non è perciò un ufficio di collocamento.

 Però, ora, varie decine di migliaia di precari hanno trovato la sistemazione giuridica di ruolo, che oggi si chiama a tempo indeterminato (t. i.). Dovrebbero andare tutti in pellegrinaggio a un Santuario e ringraziare Iddio e Renzi, e invece piangono, e i vari Saviano li chiamano “deportati”.

 Capisco i problemi umani e familiari; e non entro nel discorso dell’algoritmo, su cui si può anche discutere; ma sulla buffa denominazione di deportato per uno che, assunto dopo un concorso cui ha partecipato, e spero abbia letto il bando, viene assegnato a una cattedra che c’è, e non può essere assegnato a una cattedra che non c’è. Vige sempre la vecchia e solida riforma Gentile del 1923, altrettanto seriamente modificata da quella Bottai del 1939: tutto il resto è stato fuffa e, appunto, precarietà.

 Come mai le cattedre sono a Nord e non a Sud? Un meridionalista serio si pone questa domanda, e ha già la risposta: dal 2013 nel Meridione il numero dei morti supera quello dei nati. Fermi lì, non facciamo gli avvoltoi: non è che si muoia di più (magari di camorra e mafia!), tutt’altro; è che si nasce di meno. Dal 2013, dato ufficiale; ma se mancano allievi di 15 anni, il fenomeno è iniziato almeno 16 anni fa.

 Una volta, il Sud, povero di risorse, era almeno ricco di braccia e anche cervelli da lavoro; ed esportava persone in cambio di rimesse. Oggi è in via di desertificazione e invecchiamento di massa. Perciò ci sono più cattedre dove c’è più gente, a Milano; e meno dove mancano i ragazzi. Un meridionalista si cura di ciò, non cerca titoloni sui giornali compiacenti sparando parole truci e che non aiutano né la Scuola né i professori.

 È l’effetto della teratopoiesi, a sua volta generata dall’inguaribile provincialismo del Sud: “mio nonno era barone, e se fossimo a Torino mio figlio giocherebbe nella Juventus”; e c’è sempre qualche pollo che ci crede.

Ulderico Nisticò


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