Precisazioni sulla Tabola di Tiriolo


A Tiriolo vorrebbero far tornare la Tabola che si trova a Vienna; però accompagnano la richiesta con fughe ideologiche che si potrebbero risparmiare. E se Montuoro avesse tenuto presente il mio “Cronache antiche di Tiriolo”, Vivarium, 1995, avrebbe evitato di uscire dalle righe con affermazioni politicamente corrette e poco fondate. Abbiamo fatto molte belle cose assieme, prima che i Tiriolesi si facessero ammaliare dalle campate in aria fantasie su Ulisse e i Feaci di alta montagna; poi sono diventati tutti grecisti. Ma siccome io sono buono, compio il mio dovere di precisazione:

– La Tabola bronzea con il senatusconsultum de Bacchanalibus, del 186 a.C., venne ritrovata nel 1640; secondo la Cronaca manoscritta di cui sopra, attribuita all’Ursano e da me edita, nel 1638.
– Il fatto era ben noto, se ne parla diffusamente padre Giovanni Fiore da Cropani nel I Tomo, del 1691; mia edizione critica, Rubbettino 1999. La Cronaca riporta l’intero testo.
– Si trova a Vienna come dono del principe Cicala all’imperatore Carlo VI d’Asburgo, che dal 1708 al 1734 fu anche re di Napoli.
– La vicenda che indusse i consoli e il senato al severissimo decreto è da sempre conosciuta, e ne parla con dovizia di particolari Tito Livio nel libro XXXIX.
– I fatti si svolgono a Roma, e coinvolgono moltissimi elementi del ceto medio e alto, sia uomini sia donne. Non c’è nulla di politico e di sociale, bensì una squallida vicenda sia privata sia di massa: una matrona vedova e con un figlio intendeva indurre questo ai culti di Bacco, con l’intenzione di eliminarlo e godersi il patrimonio con l’amante. Il turpe progetto viene rivelato al console da una liberta, che segnala anche raduni di devoti a Bacco in un bosco vicino l’Urbe. Il console procede a irruzione e arresti, e, senza esitare, raduna il senato.
– Il decreto che viene immediatamente emanato (senatusconsultum, deliberazione del senato) non è certo pensato per Tiriolo o per il Meridione, ma per tutta l’Italia, a cominciare da Roma; e non vieta niente di politico o ideologico, ma un culto che portava al disordine e alla corruzione morale.
– L’idea è antica, e basti leggere le Baccanti di Euripide. Se poi abbia avuto anche efficacia, lo sanno solo gli dei!
– A mio avviso, la corruzione non era causata da sia pur abbondanti libagioni di vino, ma da uso di droghe, del resto ampiamente attestato nel mondo classico.
– È un caso che la Tabola sia stata ritrovata a Tiriolo, mentre è evidente che se ne fecero centinaia di copie per tutto il dominio di Roma dell’epoca.
– Quella di Tiriolo porta inciso, in caratteri palesemente diversi, il luogo dove dev’essere affissa: In agro Teurano. Qui si apre un discorso su Teura, Teira, Terina…
– La Tabola è delizia dei filologi. È scritta infatti in un latino quasi arcaico, probabilmente nello stile ufficiale dei documenti, mentre la lingua letteraria e quella parlata avevano subito delle evoluzioni verso quel latino che scolasticamente conosciamo. La Tabola invece mostra ablativi in –d, genitivi in –ai, un genitivo senatuos… e molto altro di antico.
– Se agli specialisti interessa, organizzino una conferenza.

Pensare di farla tornare indietro da Vienna, è un tentativo politico. Sì, ma a patto che entri in un circuito virtuoso di valorizzazione della storia calabrese e di Tiriolo, che (Feaci esclusi!) vanta almeno quattromila anni di feconda vita.
E chi gliel’ha detto, a Montuoro, che i Bruzi erano un popolo pacifico e accogliente? Nati nel 356 con la guerra contro i Lucani, proseguendola contro i Greci, finirono la loro storia identitaria con la Seconda guerra punica, per assimilarsi, come tutta Italia, a Roma e alla lingua latina.
Tranquilli tutti: la Tabola non è contro i Bruzi o contro Tiriolo o contro i proletari: è contro i culti di Bacco e relative pratiche poco edificanti. Ora ve ne pubblico la traduzione:

“I consoli Quinto Marcio figlio di Lucio e Spurio Postumio figlio di Spurio interpellarono il senato le None di Ottobre nel tempio di Bellona. Furono assistenti alla compilazione Marco Claudio figlio di Marco e Lucio Valerio figlio di Publio e Quinto Minucio figlio di Caio.
A proposito dei Baccanali dei federati, [i consoli] hanno proposto che si decretasse così: nessuno celebri il Baccanale; e si ci sia chi affermi aver obbligo religioso di conservare un Baccanale, si presentino in Roma al pretore urbano e dopo che sia stata ascoltata la loro dichiarazione, decida il nostro senato purché non siano presenti meno di cento senatori quando la questione sarà trattata. Non si unisca alle Baccanti nessun cittadino romano o di diritto latino o alleato, se non si siano presentati al pretore urbano, ed egli lo abbia autorizzato a seguito di una sentenza del senato purché non siano presenti meno di cento senatori quando la questione sarà trattata. [I senatori] hanno approvato. [I consoli hanno proposto che si decretasse così:] che nessun uomo funga da sacerdote; né uomo né donna funga da maestro; né si tenga denaro in comune; né si tollerino che uomo o donna ricoprano magistrature cariche o funzioni di cariche; né in seguito si uniscano con giuramento o voto o patto o promessa né si scambino reciproco impegno. Nessuno compia cerimonie sacre in segreto né cerimonie in pubblico né in privato né fuori della città, se non si presentino al pretore urbano, ed egli lo abbia autorizzato a seguito di una sentenza del senato purché non siano presenti meno di cento senatori quando la questione sarà trattata. [I senatori] hanno approvato. Nessuno compia cerimonie sacre in più di cinque persone in tutto uomini e donne, e non vi intervengano più di due uomini e più di tre donne, se non per sentenza del pretore urbano e del senato, come di sopra è scritto.

[I consoli ordinano] che pubblichiate queste cose nell’assemblea per non meno di tre giorni nundinali, e perché siate a conoscenza del decreto del senato, la sentenza è stata di tal tenore: se qualcuno agirà in difformità di quanto è sopra scritto, [i senatori] hanno decretato la pena di morte; e il senato ha ritenuto giusto che incideste ciò in una tavola di bronzo, e ordiniate che sia affissa dove più facilmente può venire conosciuta, e che se ci sono altari baccanali facciate che siano rimossi, eccetto qualche rito sacro come sopra è scritto, entro dieci giorni da quanto vi saranno state consegnate le tavolette. In territorio teurano.”

Ulderico Nisticò


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