La lettera aperta di Giovanni Sgrò, fondatore del progetto culturale Naturium
È diventata ormai una consuetudine: il Primo Maggio, giornata internazionale dei lavoratori, non segna più una pausa collettiva ma vede serrande alzate, turni straordinari, promozioni e volantini come fosse un giorno qualunque.
E proprio questa “distorsione dei principi fondamentali del lavoro” è al centro della riflessione di Giovanni Sgrò, fondatore del progetto culturale Naturium, che in una lettera aperta invita a guardare oltre le abitudini consolidate per recuperare il significato autentico di questa festa.
Sgrò non si limita a un ragionamento simbolico, ma tocca con lucidità i nodi più strutturali di una crisi sistemica: “Abbiamo già aperto l’argomento della tassazione che opprime sistematicamente i piccoli commercianti, con strutture fino a 50 dipendenti, mentre le multinazionali e i giganti del web spesso eludono o filtrano i profitti tramite società terze, aggirando la fiscalità nazionale”. In altre parole, chi opera sul territorio, creando occupazione e contribuendo al tessuto sociale, è spesso penalizzato, mentre i grandi gruppi giocano su scala globale con regole sbilanciate.
Il problema non è solo economico ma profondamente culturale.
La festa dei lavoratori si svuota perché viviamo immersi in una società che ha smesso di interrogarsi. “La spinta al consumo e alla competizione non lascia spazio alla riflessione, al pensiero”, scrive Sgrò. “Il Primo Maggio rischia così di diventare una celebrazione vuota, dove si lavora per celebrare chi lavora”.
Eppure l’Italia, ricorda Sgrò, è un paese straordinario, “che gode di un welfare molto strutturato, con una sanità e una scuola pubbliche , forze dell’ordine efficienti e una rete di infrastrutture che sostiene la coesione sociale”. Tutto questo è possibile grazie alla fiscalità ordinaria, fatta di imposte locali e nazionali, Irpef, Iva, tasse sugli utili e sui servizi. “Perché allora accettiamo regole fiscali asimmetriche e contrattazioni pirata che sviliscono i diritti e comprimono gli stipendi?”, si chiede.
Il riferimento al recente intervento del presidente Mattarella, che ha denunciato il basso tenore retributivo di molti lavori, non è casuale. “Il Capo dello Stato parlava del lavoro somministrato dai grandi gruppi, dove le contrattazioni decentrate penalizzano i lavoratori”. Un sistema che frammenta tutele e crea una concorrenza sleale persino tra gli stessi dipendenti.
C’è però una leva di cambiamento concreta: la responsabilità dei consumatori. “La scelta di dove e come fare la spesa è un atto politico e civile”, ricorda Sgrò. “Premiare le realtà che mettono al centro il valore delle persone e del territorio può fare la differenza”.
Il monito finale è chiaro: serve un equilibrio fiscale per il futuro di un lavoro giusto e diffuso. Non si può parlare di festa del lavoro se non si garantisce equità, rispetto delle regole, centralità della persona. Fermarsi il Primo Maggio, dunque: un atto di coerenza.