Primo Maggio, il lavoro


Il palazzo della civiltà del lavoro a Roma

 Adamo ed Eva non lavoravano, durante periodo trascorso nell’Eden: un minuto o un miliardo di secoli, lo stesso, tanto per loro il tempo non passava mai. Dopo di che vennero condannati al lavoro e al sudore della fronte. E fu con il sudore della fronte che nacque la mirabile e contraddittoria civiltà, che è fatta anche di lavoro.

 A proposito, anche gli dei dell’Olimpo non facevano mai niente, tranne uno, il più brutto e deforme e pure affumicato, senza il quale, però, gli eroi non avrebbero le armi. Ed è nel XVIII dell’Iliade che il lavoro trova la sua più bella esaltazione nell’antichità, quando Efesto, o Vulcano, lo rappresenta nello scudo di Achille.

 Siccome il lavoro (ergon, per i Greci) non è bruta fatica (kàmatos), ecco che viene introdotta l’arte (tekhne), il cui scopo è anche diminuire la fatica. Con l’arte, dunque, c’è meno bruta fatica, e aumenta il valore aggiunto di una qualsiasi cosa.

 Nei secoli passati, comunque, non esisteva la disoccupazione, anzi si andava in cerca di braccia. Immaginate quanto lavoro di menti e di mani abbiano richiesto le possenti cattedrali medioevali.

 Stranamente, la disoccupazione è un effetto del progresso e dei macchinari. Fu per questo che, ai primordi della rivoluzione industriale britannica, un tale Ludd distruggeva le macchine utensili degli opifici, accusandole di togliere occupazione agli operai. Il luddismo, in forme parolaie, serpeggia tuttora; e la Calabria è zeppa di nostalgici di quando in ogni scuola c’erano bidelli e applicati e assistenti a decine: inutili, però salariati. Il vecchio Ludd non muore mai!

 Ora vi porto due esempi dei tempi della crisi mondiale del 1930. Gli Stati Uniti di Roosevelt facevano scavare buche a una squadra di operai, poi passava l’altra e le ricopriva: qualche scemo del villaggio chiama tutto ciò “New deal” e politica economica, mentre nel 1940 si contavano ancora sette milioni di disoccupati in USA. L’Italia – andate a studiare che Italia era – mise la gente a bonificare le paludi per produrre grano, o, a Sant’Eufemia, barbabietola e da essa lo zucchero eccetera; e costruì città tuttora modelli di urbanistica. Per tutte queste cose occorreva lavoro, e tutte queste cose a loro volta creavano vero lavoro.

 Conclusione, il lavoro non s’inventa a scopo assistenziale, ma è una esigenza dell’economia sana. Se oggi, in un tempo di fantascientifica tecnologia, abbiamo disoccupati a milioni in tutto l’Occidente, vuol dire che l’economia è malata e malissimo gestita. E non è cosa per o burocrati di Bruxelles, l’economia.

 Tre conseguenze sociopolitiche. Chi lavora mangia del suo, e non deve chiedere favori a nessuno; e se vota, vota dove gli pare, e non per chi gli ha dato un “posto” più o meno genuino.

 La sola possibile giustizia sociale è la produzione di beni e servizi, che, se ci sono, si distribuiscono da soli, e senza bisogno di interventi, generalmente maldestri e demagogici. Se no, distribuiamo in parti uguali il niente come in Unione Sovietica che fu.

 Il lavoro, infine e soprattutto, è dignità e soddisfazione di se stessi; chi lavora è sereno nell’anima, e sta meglio anche nel corpo.

 Buon Primo Maggio.

Ulderico Nisticò