Riaprire i cantieri, anche i nostri


Noi di cantieri ne piangiamo due: la Trasversale delle Serre e l’ammodernamento della 106. Entrambe le opere sono utili e necessarie, e ci stiamo battendo in tutti i modi per ottenerle. L’Italia intera è un’arlecchinata di lavori iniziati, costati soldi e poi abbandonati alle intemperie e al saccheggio. E questo basti a far capire a chiunque che i cantieri vanno velocemente sbloccati.

Spesso sarebbe opportuno commissariare tutta l’operazione, anzi tutti i territori in cui l’opera insiste; o intervengono quei fattori negativi di cui brulicano magistratura e burocrazia.
Ovvio che i lavori devono essere corretti secondo le regole dell’arte; onesti fino alla virgola; rapidi; e collaudati con scrupolo, prima che facciano la fine della galleria vicino Borgia che è in eterni interventi da almeno tre mesi! Eccetera.
Ciò premesso, e quant’altro ritengo debba essere ben noto, veniamo all’aspetto indiretto dei lavori pubblici: la loro naturale potenzialità di creare economia.

Intanto una strada, una ferrovia, una diga… sono di per sé fattori di creazione di economia, nel medio e nel lungo termine. Si pensi alle due opere che, oggi vecchie, furono innovative e rivoluzionarie al loro tempo: la ferrovia Bari – Reggio (i due tronconi s’incontrarono a Soverato nel 1876), e la 106 (a Soverato nel 1935), la cui presenza ha letteralmente creato la costa ionica come la conosciamo, con le comunicazioni e gli insediamenti sul mare dove prima c’era la selva selvaggia.

Un qualsiasi lavoro, dunque, genera effetti positivi anche nei seguenti decenni e secoli.
Ma ne genera tantissimi nell’immediato, e, nelle situazioni in cui ci troviamo, è urgente mettervi mano. Un operaio disoccupato o male occupato, che invece trovi un impiego duraturo, e venga regolarmente pagato, si trasforma da peso per la società in un elemento di crescita. Fa la spesa, compra le scarpe ai figli… e i soldi girano.

I soldi, con buona pace dei passacarte di Bruxelles, esistono solo quando girano. “Usus pecuniae est in emissione ipsius”. Non lo hanno detto un bieco capitalista o un edonista della belle époque, ma san Tommaso d’Aquino.
Occorre dunque stimolare il lavoro; che a sua volta stimola l’economia reale.

Corollario: serve però una cultura del lavoro, combattendo a spada tratta, e con l’uso massiccio del disprezzo e dell’ironia, quella subcultura smidollata della “generazione Bataclan” e dei cocchi di mamma in fila per farsi assumere alla Regione.
Vogliamo un’Italia di lavoratori, il che, fidatevi, avrà anche serie conseguenze politiche: solo chi lavora e “mangia del suo” è veramente libero e dalle mafie (il 20% della corruzione) sia dai politicanti e zone grigie varie (il rimanente 80!). Il lavoro, e solo il lavoro, è scudo e lancia della dignità umana.

Per tutte queste ragioni, sotto con i cantieri. Per gli amanti della “natura incontaminata”, ci sono i Parchi nazionali… la domenica, da raggiungere, ovviamente in inquinantissimo SUV.
Iniziamo subito con la 106, la ferrovia e la Trasversale.

Ulderico Nisticò


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