Riflessioni su Minniti in Libia


 Curioso che in Libia vada il ministro degli Interni e manco si porti dietro quello degli Esteri. Curioso, ma logico: Alfano sta lì per assicurare i voti al governo, e per il resto non conta niente; e ha causato tanti danni agli Interni che sarebbe suicida affidargli davvero gli Esteri: così fa l’uno e l’altro Minniti.

 Ora però stendiamo un riassunto della Libia nell’ultimo abbondante secolo, se no quasi tutti non si raccapezzano.

 I governatorati di Tripolitania e Cirenaica erano quanto restava alla Turchia, quando l’Italia di Giolitti, sotto la spinta del nazionalismo, ritenne urgente conquistarli, prima che ci pensassero o la Francia o la Germania. La guerra del 1911-2 si concluse con la cessione del territorio all’Italia, che lo chiamò, classicamente, Libia. In realtà l’occupazione era scarsa, e sopravvenne la Prima guerra mondiale. L’Italia trovò un compromesso con la confraternita araba dei Senussi, che pagò perché fingessero di sottomettersi.

 Fu Mussolini a volere l’occupazione effettiva, affidata da Badoglio e Graziani, e conclusa verso il 1930: metodi spicci contro i ribelli arabi; sostegno delle popolazioni berbere, in genere amiche dell’Italia. Iniziò la pacificazione, con la fondazione di città moderne e la grande via Balbia lungo tutta la costa; nel 1938 le quattro province vennero direttamente annesse al Regno d’Italia, e gli indigeni, caso unico nella storia del colonialismo, ottennero la “cittadinanza libica”, con diritti civili non lontani da quelli dei nazionali.

Le truppe libiche si batterono valorosamente per l’Italia. Epico questo episodio, narrato da Paolo Caccia Dominioni. Per il cimitero dei Caduti, egli aveva bisogno di una torretta di carro armato che era rimasta abbandonata nel deserto. Assunse un camionista libico per il trasporto, e chiese quanto volesse. “Niente”, rispose: “chiedo solo che il cannone sia puntato verso il Cairo”.

 In Libia si decise, per l’Italia, il destino della guerra; dopo la sconfitta di Alamein, gli Angloamericani occuparono il territorio; e lo assegnarono al Senusso, il solito re fantoccio tipo emiro del Kuwait e roba del genere; e ne sfruttavano il petrolio. Nel 1970 la rivoluzione di Gheddafi imponeva un regime nazionalpopolare. Ne fecero le spese quanti italiani rimanevano ancora, che furono scacciati.

 Dopo alterne vicende, il governo Berlusconi riuscì a ristabilire ottimi rapporti con Gheddafi, risolvendo la questione delle partenze clandestine. Nel 2011, un colpo di pazzia, o misteriosa furbata di Sarkozy scatenò la guerra contro la Libia; lo seguirono l’inglese Cameron e l’americano Obama, ridicolmente già insignito del Nobel per la pace!!!

 Berlusconi seguì le consolidate regole dell’8 settembre perpetuo che reggono l’Italia dall’8 settembre 1943, e si schierò con gli Occidentali; a metà, ovviamente, senza combattere; ma senza avere il coraggio di opporsi.

 Abbattuto il governo, assassinato Gheddafi (chissà cosa era meglio che tacesse!), devastate le città, i tre compari e mezzo se ne andarono, lasciando in Libia la democrazia: avete visto tutti in ripresa diretta cosa voglio dire, tra califfi, pseudogoverni, tribù e bande di tagliagole. Eliminato, pare, il califfo, restano due governi, uno dei quali è “riconosciuto dalla comunità internazionale”, e l’altro no; ma di fatto non esistono nessuno dei due.

 Uno dei risultati del disastro libico fu l’invasione dell’Europa… ma quale Europa, dell’Italia, con le conseguenze di pochi benefattori in buona fede e infiniti benefattori in fede pessima e volti a fare del bene a se medesimi. L’Europa, approfittando dell’imbecillità dei governi italiani a firmare Dublino, ha scoperto che gli sbarcati se li deve tenere l’Italia. Sbarcati? Li andiamo a prendere!

 Ora la misura è colma. Tutti sappiamo che la stragrande maggioranza non sono profughi da nulla, e perciò andrebbero rimandati a casa; sappiamo anche che è di fatto impossibile, perciò l’unica è che non arrivino.

 L’Italia torna dunque ai tempi degli accordi con Gheddafi: bloccare le coste; il che comporta, prima o poi, dover usare la forza contro gli scafisti, siano essi cani sciolti, siano bande criminali organizzate, siano emanazioni di califfi o pseudogoverni.

 Anche quello con cui stiamo trattando è un governo pseudo, molto pseudo; ma non ha alcuna importanza: basta che ci sia una qualsiasi legittimazione formale. Se il finto governo di questo Sarraj firma un qualsiasi pezzo di carta, l’Italia ha il diritto di fermare gli scafisti; se non si fermano, “alto là, chi va là?”; “alto là, chi va là?”; “alto là, chi va là? Fermi o sparo”; poi un colpo in aria e uno a bersaglio. Tutto questo sarebbe perfettamente legale. Un avvocato potrebbe osservare che è una “fictio iuris”; e io gli risponderei che è esattamente così. Legittimo e legale sono parole che hanno a che vedere con “ius”, non con un’auspicabile ma utopistica “iustitia”.

 Conclusione: la prossima volta che a qualche francese o inglese o americano salta il ticchio di fare una guerra per esportare la democrazia, l’Italia risponda che se la facciano da soli. Come può giustificarsi? Ma con una bella “fictio iuris”, con l’art. 11 della costituzione. Sono forse diventato pacifista? Sì, quando mi conviene. Che grande invenzione, la “finzione giuridica”.

Ulderico Nisticò


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