“Sangue del suo sangue”: quello che ogni futura mamma dovrebbe sapere


L’equivoco sta tutto nella dicitura “donazione del cordone ombelicale”. E’ sufficiente, infatti, leggere più a fondo per scoprire che il cordone ombelicale, dopo la nascita del bambino, non è da considerarsi uno scarto che può avere nuova vita con la donazione delle cellule staminali in esso contenuto.
Se così fosse, la donazione alle banche per la crioconservazione del sangue del cordone (ben diciannove in tutta Italia) sarebbe quasi un atto dovuto, oltre che solidale: chi si sottrarrebbe, del resto, dal donare il simbolo di una gravidanza giunta alla fine che potrebbe servire al trapianto delle cellule per la cura delle malattie del sangue?
Ma ad una disamina più attenta della questione si scopre, invece, che gli ultimi studi scientifici vanno da tutt’altra parte. Anzi, per dirla tutta, vanno dalla parte del nascituro: il sangue contenuto nel cordone può servire ancora a molto, perché in esso il neonato trova una considerevole scorta di ferro e l’apporto necessario a rafforzare il sistema cardiovascolare e quello neurologico in via extra uterina. E di “sangue del suo sangue” si tratta. D’altronde, questo è anche il titolo del documentario realizzato dall’ostetrica Amyel Garnaoui e dal regista Angelo Loy che è stato proiettato sabato in tutta Italia, e che in ventisei minuti sviscera l’immediato “post partum” sollevando una serie di domande alle mamme, che hanno diritto ad essere informate sulle conseguenze legate alla procedura di raccolta del sangue al momento dell’espulsione del bambino.

A Catanzaro la proiezione del documentario è avvenuta al Musmi, su iniziativa delle associazioni “Acquamarina” ed “Innecesareo”, nonostante i malumori che la proiezione, dai contenuti piuttosto “scomodi”, ha suscitato sul piano nazionale tra i vertici istituzionali, tanto da spingere la Regione Lazio a ritirare il patrocinio all’evento su sollecitazione del Centro Nazionale Sangue che coordina le banche per la conservazione del sangue cordonale donato.

Il nostro intento non è quello di condizionare bensì di informare le future mamme sulle possibilità che, al momento della nascita, implicano una scelta consapevole e non guidata – hanno chiarito, prima della proiezione, Licia Aquino, presidente di Acquamarina, e Cristina Masiani, referente di “Innecesareo”, affiancate da Lucia Pintimalli, volontaria attiva di “Acquamarina” – Molte donne non sanno che fine faccia il loro cordone perché nella maggior parte dei casi nessuno glielo dice. Informarsi in maniera adeguata, invece, porta ad assumere una decisione che tutti sono tenuti a rispettare”.

Nel video, infatti, è lapalissiana la contraddizione che emerge, attraverso le interviste, tra quanti, a livello ministeriale, sostengono la donazione solidaristica delle cellule contenute nel sangue cordonale come la via preferibile e più affidabile per il contrasto di terribili malattie come la leucemia – omettendo di dire che non è l’unica, ma la più conveniente per il Servizio Sanitario Nazionale, visto che le sacche di sangue, acquistate al prezzo di mille euro dalle banche in cui vengono conservate, vengono rivendute a 17 mila euro l’una – e quanti invece, sulla scorta degli studi scientifici più recenti, ammettono che il sangue, che ancora pulsa nelle vene del cordone, sia fondamentale per il benessere del nascituro. Non a tutti, infatti, è chiaro che la donazione, per giungere a buon fine, debba rispondere a certi requisiti, sia in termini di quantità (una sacca corrisponde a circa un terzo del sangue del neonato) che di livelli elevati di cellule contenute nel sangue. Si può ben capire, dunque, come solo l’8% delle unità di sangue prelevato venga accettato dalle banche per la crioconservazione: tutto il resto non è di certo destinato a scopi solidaristici. La donazione, inoltre, comporta che il “camplaggio” (ovvero il taglio del cordone) avvenga il più presto possibile, a sessanta secondi, un minuto al massimo, dalla nascita: ciò permette di raccogliere un numero elevato di cellule, visto che il sangue continua a scorrere per almeno tre minuti all’interno del cordone. Per il bene del neonato, al contrario, l’atto del camplare dovrebbe essere differito il più possibile, perché è proprio durante la trasfusione placentare che egli si rafforza e si adatta al nuovo ambiente.

Due esigenze contrapposte, dunque, che vanno ad aggiungersi alla possibilità riservata ai genitori, dietro pagamento di una cifra che varia dai mille ai tremila euro, di acquistare la proprietà del sangue cordonale del proprio figlio al pari di un “investimento” del proprio futuro, al fine di scongiurare malattie familiari attraverso la conservazione delle cellule staminali perfettamente compatibili. Il “kit” per la raccolta che, in tal caso, accompagna la mamma in sala travaglio, dovrà fare un viaggio oltre i confini nazionali, in Svizzera o in Germania, per essere conservato nelle banche realizzate apposta.

La visione del documentario è stata a dir poco illuminante per la trattazione puntuale, e scevra da condizionamenti vari, del delicato argomento affrontato: è rimasto però il rammarico che a Catanzaro, ad approfittare dell’occasione, sicuramente irripetibile, voluta dalle associazioni, siano state davvero in poche.


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