Sarebbe ora che i posteri…


…si decidano a pronunziare l’ardua sentenza sollecitata dal Manzoni nel 5 maggio, dopo due secoli esatti e un giorno, e almeno otto generazioni dalla morte di Buonaparte (in Francia, Bonaparte) nel malinconico esilio di Sant’Elena. Io sono postero da un pezzo, se il bisnonno del mio bisnonno, notaro Antonio, nacque cinque anni prima di lui, e gli sopravvisse di tredici; e perciò pronunzio, non dico la sentenza, ma almeno un ponderato parere.

 Se dovessi giudicare Napoleone come condottiero, arriverei facilmente alla conclusione che le sue sconfitte furono molto più pesanti delle vittorie: Russia, Lipsia, Waterloo… Quando i suoi nemici, cui aveva insegnato l’arte della guerra, dimostrarono di averla imparata fin troppo bene. Questi sono i fatti, e non seguo certo la storiografia sciovinista francese, che dedica cento pagine ad Austerlitz e poi tenta di far passare Waterloo come un pareggio fuori casa invece che, come fu, una solenne scoppola. I fatti sono fatti, e Napoleone perse proprio dove credeva di essere invincibile: sul campo di battaglia.

 Ma non fu solo questo, anzi non fu soprattutto questo. Il politologo guarda essenzialmente all’uomo di governo, e che giunge al potere attraverso quello che si chiama cesarismo, o, da lui, bonapartismo: il comandante militare che diventa uomo di Stato. Dovunque estese il suo potere con le armi, egli impose, con le armi, le sue riforme: “La rivoluzione”, aveva detto, “è un’idea che ha incontrato delle baionette”. Un’idea e non un tumulto scomposto; e baionette, cioè forza disciplinata, e non forconi. Senza di lui, le riforme avrebbero atteso decenni, arrivando tardive.

 Creò lo Stato centralista per la società borghese. Questi sono i fatti, comunque uno li giudichi. Ma tutto quello che è sotto i nostri occhi, con qualche lieve modifica, è di modello napoleonico. Ecco l’ardua sentenza.

  Cosa fece, Napoleone, per o contro il Meridione d’Italia? Nel 1798 – ma lui era in Egitto – truppe giacobine imposero un’effimera Repubblica, spazzata via dalle Masse di S. Fede del cardinale Ruffo. Nel 1806, ormai imperatore, e ponendo fine ad esperimenti ideologici, si era proclamato re d’Italia dalle Alpi alle Marche; ma, buon conoscitore di geopolitica e storia, conservò l’autonomia del Meridione, facendone re il fratello Giuseppe; e, trasferito questo in Spagna, osservò i trattati del 1737 che vietavano di unire Napoli e Madrid, e nominò re suo cognato Gioacchino Murat.  I Napoleonidi attuarono le riforme centraliste francesi, ma resero Comuni quelli che erano solo casali; ed ecco l’esagerato numero di 409 in Calabria, oggi “solo” 404. Era un desiderio della borghesia e nobiltà locali, sostenitrici dei Francesi; mentre il popolo si levò in armi contro l’invasore e i “giacobini”.

 Murat però intendeva affrancarsi dall’invadente imperatore, e creò un esercito meridionale, che darà buona prova in Russia, in Germania e nelle contraddittorie vicende di Murat nel 1814 e 15. I Pepe, Filangieri, Colletta, Arcovito, Ambrosio… uscirono da questa scuola; e fu mala sorte che non avessero, mezzo secolo dopo, discepoli, e quando servivano. 

 Ecco, il postero di Soverato ha detto qualcosa anche che riguarda il Meridione ai tempi di Napoleone. La Compagnia La chiave e Telejonio stanno dando SUL LETTO DI MORTE DI NAPOLEONE; il Liceo di Girifalco, a cura del prof. Pino Vitaliano, IL 5 MAGGIO. Per l’Università della Calabria e gli intellettuali piagnistei: Napoleone, chi era costui?

Ulderico Nisticò