Studenti italiani ignoranti, e, manco a dirlo, la Calabria peggio. Immagino, e rido, la corsa a negare l’evidenza, a minimizzare il problema, e, i più fantasiosi, a dare la colpa a Salvini che chiude i porti… ma i fatti sono fatti, ed emerge senza alcun dubbio che gli studenti italiani:
– non capiscono un testo in italiano;
– sconoscono l’inglese;
– sono debolissimi in matematica;
– quelli del Sud, molto peggio del Nord, che a sua volta non è esattamente la riunione dei dotti nel Limbo di Dante.
Io, che sono fuori dal 2011, ho insegnato sempre nel triennio superiore (italiano e latino; latino e greco), dunque in una posizione privilegiata e con allievi in qualche modo selezionati. Vero, ma quando il fanciullo mi commetteva errori di ortografia nel detto triennio, o comunque mostrava ignoranza su cose che avrebbe dovuto conoscere, mi era facile spiegare la cosa con le colpe dei colleghi di: 1.Asilo; 2.Elementari; 3.Media; 4.Biennio, per un totale di anni tredici. In tutto questo tempo, nessuno, dalla maestra dei bimbi in poi, ha corretto gli errori che dovevo correggere io all’anno quattordicesimo.
Amici belli, che “dà” non sia lo stesso di “da” (“viene da Roma e mi dà un regalo”) non si impara a 15 anni ma a 6; e lo stesso per le tabelline e le quattro operazioni. Insomma, se i ragazzi ignorano, la colpa è della Scuola; e siccome la Scuola non è un ente astratto, la colpa è degli insegnanti.
L’insegnante di italiano non è uno che legge il libro di testo – magari farcito di pallosissime e fasulle poesie deprimenti di poeti (?) cecoslovacchi morti suicidi – ma è uno che parla l’italiano, che spiega in italiano, che racconta barzellette in italiano (“ma il dialetto è più espressivo”, blatera chi l’italiano non lo parla!), che durante la gita canta in italiano…
E che affronta Dante, Petrarca, Boccaccio… e non è colpa mia se, dopo Pirandello, l’Italia ha prodotto solo piagnistei in stile dozzinale.
Se i ragazzi non capiscono un testo in italiano, la faccenda è grave; se non se la cavano con addizione e sottrazione, è drammatico.
Urgono rimedi, e qui la situazione si fa difficile. Io, a lume di naso, proporrei:
– intensificare il più possibile quota 100, anche 50 e 25, pur di incoraggiare l’esodo dei demotivati e ciuchi;
– ispezionare seriamente le classi, e non per vedere se il registro è a posto (io sarei stato fucilato!), ma per chiedere, così, a un fanciullo, se in greco èbete vuol dire uno scemo o è la seconda plurale dell’aoristo fortissimo di baino;
– riscrivere radicalmente i programmi e i contenuti: la storia del mondo NON inizia l’8 settembre 1943; la filosofia non è sindacalismo sociologico… ed è ora di finirla con libri che, scopiazzati dall’estero, dedicano fiumi alla Guerra dei cento anni e mezza pagina all’unità d’Italia; e quanto al Sud, si passa direttamente da vaghe nozioni sulla M. Grecia alla fucilazione di Murat; e l’italiano è una lingua, non sproloqui a ruota libera;
– ripensare la funzione stessa della scuola, che è istruire e non imbottire i ragazzi di chiacchiere moralistiche, buoniste e utopistiche e antimafia segue cena (e precede “progetto”);
– ammodernare i mezzi: si può fare tanto latino e greco, con i computer;
– lo stesso e più per materie in cui non mi avventuro, tipo matematica;
– selezionare intelligentemente e coraggiosamente i percorsi formativi: un ottimo meccanico è mille volte meglio di un somaro con diploma e laurea.
Quanto al Meridione, le carenze formative sono tra le cause più serie dell’inferiorità produttiva ed economica… ed anche politica e letteraria. Diamoci da fare.
PS: Non ne ve uscite con X. Y. meridionale che “ha un posto a Stoccolma… ”; con i singoli casi, non si va da nessuna parte, ed è una questione di sistema.
Ulderico Nisticò