…è stato accontentato. Poesie, niente; i pochi versi che si sentono, gridati male. Levata la gobba, resta un nasone posticcio. Con il Ranieri, una spruzzata di omo, che oggi non guasta mai; non senza un poco di ménage à trois. Un tantino di intrigo tra amoroso ed epistolare. Magari c’è qualcosa di vero, in tutto ciò, ma non aggiunge e non toglie nulla alla figura del poeta.
Per capire il Leopardi, ammesso sia possibile, bisogna separarlo dal suo tempo, e portarlo o molti millenni prima, ai Greci arcaici e al loro senso tragico ed eroico della vita; o qualche decennio dopo, a quell’altro grande grecista che sarà Nietzsche.
Anche volendo applicare alla cosa un’analisi di tipo sociologico, il Leopardi somiglia ad Alceo, nostalgico di un’aristocrazia che non esisteva più e campava lavorando da mercenari; ad Eschilo… Avrete notato, ed è vero, che si faceva sempre chiamare conte.
È lontanissimo dall’ottimismo dei liberali e patrioti, i quali erano convinti che, fatta l’Italia, gli Italiani sarebbero stati contenti e felici; il che non fu per la banale ragione che non poteva essere, donde la delusione che sarà espressa poi dal Carducci e dai nazionalisti eccetera.
È lontanissimo da ogni concreta opinione sull’Italia che pure tanto amava: un’Italia ideale, come tutti noi compreso chi scrive. Ma invano, nel 1830, avreste chiesto che Italia voleva il Leopardi… e lo stesso non solo per Manzoni, dico anche per Mazzini, Garibaldi, Cavour… l’unico che aveva un’idea definita era il Gioberti, amico personale del Leopardi e che nel film non compare; come il Poerio solo comparsa.
È lontanissimo da quel fritto misto di liberalismo e religione autogestita che chiamavano spiritualismo cristiano, poi modernismo, e che la Chiesa ottocentesca giustamente condannò… allora! Giacomo era o divenne francamente ateo, e non serve a niente arrampicarsi sugli specchi. Ma agli atei dichiarati arriveranno solo verso la fine dell’Ottocento.
È lontanissimo dal progressismo, fino a negare quel poco di tecnologia che si affacciava sull’arretrata Italia. Fa la gioia dei pronipoti di Rousseau la Palinodia in cui condanna le macchine. Eh, se avesse avuto un treno forse arrivata comodo in Germania, dove gli avevano offerto un lavoro serio; ma la prima locomotiva d’Italia (e poi ultima del Meridione!) viaggerà da Napoli a Portici due anni dopo la morte del poeta.
È lontanissimo dal romanticismo in quanto corrente letteraria, e i suoi miti restano quelli classici o neoclassici, mai quelli che il Monti chiamò “boreali”, germanici. Filologo e grecista, eppure ignora la filologia tedesca, senza la quale, e senza quella inglese, sapremmo poco di genuino greco classico. Lo stesso per la filosofia, egli che ignora l’esistenza di Kant, Fichte, Hegel e persino del suo consono Schopenhauer: scusate se è poco.
Insomma, c’erano mille cose da dire, invece di ridurre il Leopardi alle miserie umane e ai pettegolezzi sui gelati… eccetera.
Concludo con critica cinematografica: scene lente e lunghe; recitazione biascicata e a basso volume; fondali da teatro.
Ulderico Nisticò