Soverato – Da Salvatore Mongiardo un Buon Natale Sissiziale


Giorni fa sono andato dallo spedizioniere per mandare il pacco natalizio a mia figlia Gabriella in Florida, come faccio ogni anno, e ho trovato una lunga fila di persone che mandavano pacchi ai parenti. Adesso mi ritornano in mente tutti i pacchi che i miei mi mandavano in seminario, a Parigi e dovunque ci fosse un compaesano che potesse raggiungermi. Ricordo anche il sorriso benevolo degli amici milanesi – quando stavo a Milano – che mi vedevano mandare a Gabriella il pacco natalizio. Per loro era uno strano uso calabrese; ora, però, rifletto con calma che quell’uso non é strano, ma anzi nobile e degno di essere riconosciuto.

In questi giorni, ma anche nel resto dell’anno,  sono centinaia gli spedizionieri grandi e piccoli che vanno di paese in paese della Calabria a raccogliere pacchi, cassette di arance, olio, primizie e dolci fatti in casa, che i residenti mandano ai parenti. Anche gli emigranti verso gli Usa, intorno al 1950, partendo portavano ai congiunti in Usa specialità alimentari.

Quest’uso che non accenna a diminuire, anzi aumenta con la facilità dei trasporti, viene dal Sissizio sul quale si fondava l’Italia:  nel banchetto sissiziale si dividevano in amicizia le derrate alimentari e nessuno poteva essere escluso. Attualmente i pacchi che viaggiano dalla Calabria verso il mondo, pieni dei nostri migliori prodotti, saranno diecine o centinaia di migliaia in un anno: il Sissizio è più vivo che mai.

 In Sant’Andrea dello Jonio (CZ) c’era anche un altro uso che certamente derivava dal Sissizio. Nei matrimoni, dopo la funzione in chiesa, si teneva il rinfresco con liquori e dolci in abbondanza. Ricordo che alcuni portavano da casa un fazzoletto pulito nel quale mettevano dei dolci da dividere in famiglia: nessuno doveva essere dimenticato. Oggi quell’uso è scomparso, ma meriterebbe di essere ripreso, magari offrendo sacchetti di dolci già preparati, per far rivivere il senso comunitario della festa.

E’ ancora vivo un altro uso che conferma la mia analisi: gli auguri al telefono che si scambiano i calabresi con i parenti lontani durante il pranzo delle grandi feste, Natale e Pasqua in particolare. Telefonarsi durante il pranzo ricrea il senso di comunità com’era nel banchetto del tempo antico, il quale si svolgeva in grande spirito di amicizia.

Mentre scrivo queste righe, guardo il sole che tramonta limpido e veloce dietro le Serre, e mi sembra di vedere Kosmàs, il monaco greco ortodosso, morto a dicembre 2010 per il dolore di essere stato allontanato dalla Calabria.  Nei nostri incontri nel monastero di Bivongi, accanto a Stilo, o nel suo eremo del Monte Atos in Grecia, egli mi parlava sempre della Calabria che vedeva da un’altezza mistica alla quale io non ero arrivato.

Egli insisteva a dire, come il suo santo maestro Padre Paisios, che dalla Calabria verrà la luce e che le civiltà nordiche avevano portato a noi rovina e decadenza. Ora vedo come un’onda che dalla Calabria sale verso il Nord Europa e porta a quei popoli la nostra eterna civiltà: pace, libertà, giustizia sociale, dignità della donna, amicizia. Vedo poi anche un’onda che dal Nord scende verso di noi e  ci porta guerre, feudalesimo, servitù della gleba, conquista e saccheggio.

L’immagine di quelle due onde, che credo sia il regalo di Natale di Kosmàs per tutti noi, è la raffigurazione dello scambio avvenuto tra noi e i popoli nordici. Ognuno ha dato quello che aveva: noi abbiamo dato loro la civiltà di cui oggi godono. Loro hanno dato a noi l’inciviltà di cui oggi soffriamo. Tuttavia, né loro né tantomeno noi siamo ben coscienti di quanto è avvenuto. Difatti, loro ci disprezzano per come ora siamo, e noi stessi ci vergogniamo di come siamo ridotti.

Ciò dimostra che non c’è una matura coscienza del grande scambio antropologico avvenuto. Quando questo fenomeno sarà capito, i popoli nordici capiranno il male che ci hanno fatto e il bene da noi ricevuto. La Calabria deve dare, non prendere: è questo il compito che la storia le ha assegnato.

Guardando il cielo sopra Crotone, Pitagora  (580 – 495 a. C.) percepiva l’armonia delle stelle: l’ordine dell’universo a lui giungeva come musica. Mirando il cielo notturno della Palestina, Gesù parlò del Regno dei Cieli e ritenne indispensabile portare quell’ordine nel cuore dell’umanità. Perciò parlò del Regno di Dio che è dentro di noi. Ora, l’ordine dell’universo è dato dalla legge di gravità, che dispone galassie, stelle e pianeti. L’ordine degli umani e dei popoli viene dalla Cultura Italica che Pitagora sintetizzò in cinque principi: libertà, amicizia, comunità di vita e di beni, dignità della donna, pane, cioè vegetarismo. L’etica pitagorica è come la matematica: non è un’opinione, ma ubbidisce a regole precise e immutabili.

Nella Sila, oggi ricoperta di candida neve, Gioacchino da Fiore  (1130 c. – 1202) aveva capito che nei Vangeli c’era un messaggio ancora da scoprire. Perciò scrisse di un Vangelo Eterno, un vangelo che andava oltre i Vangeli scritti, quelli che noi conosciamo. E scrisse di se stesso: agricola sum a nativitate, sono contadino dalla nascita. Fu proprio la civiltà contadina della Calabria, quella che aveva preservato la Cultura Italica, che lo portò a ideare il Vangelo Eterno.

Anche quel piccolo ometto nel corpo, ma gigante nello spirito che fu il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724 – 1804), dalle rive del Mar Baltico disse la stessa cosa: Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.

 Care Amiche e cari Amici, v’invio i migliori auguri per un sereno Natale e un felice Anno 2018. L’umanità non avrà pace finché non si adeguerà alla Cultura Italica, quella civiltà che oggi torna a splendere dopo essere stata inghiottita dal buco nero della storia.

Pongo quest’augurio davanti alla mangiatoia di Gesù, certamente la persona più conosciuta e amata della storia, ma anche quella meno capita. Il mistero di Cristo appare chiaro come il sole se consideriamo il reale svolgimento della sua vita. Difatti, Egli fu senza dubbio palestinese nella carne, ma fu italico nell’anima e fu donna, anzi madre, nel cuore.

Evoè!

Salvatore Mongiardo – Soverato di Calabria, 20 dicembre 2017


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