I Francescani di Catanzaro lasciano alla Parrocchia il Santuario di san Gregorio Taumaturgo. È la fine di una storia, ma non della storia del sacro luogo, che è antichissima, e che ha subito già molte trasformazioni; e si vedrà in seguito.
Come narra la Leggenda Aurea, assieme a molti altri autori medioevali, nella città di Neocesarea sul Mar Nero (oggi la turca Niksar) si veneravano, in arche di piombo, i corpi dei santi Acacio, Gregorio Taumaturgo (il Miracoloso), Luciano e Pupieno, e quello dell’apostolo san Bartolomeo; finchè la città non cadde in mano a non precisati “nemici”, che gettarono in mare le arche. Ebbene, queste navigarono verso occidente, e, giunte nello Stretto, Luciano andò a Messina, Pupieno a Milazzo, Acacio (poi Agazio) a Squillace, e Gregorio nella grotta che porya il suo nome, allora abitata da diavoli, e quindi a Stalettì. L’apostolo andò a Lipari, da dove i Longobardi di Salerno lo portarono a Benevento, e l’imperatore Ottone a Roma, dove c’è San Bartolomeo dell’Isola. Leggende e storia chiarissime, per narrare il trasferimento di culti e popolazioni e lingue in età romea (politicamente, in Calabria, 553-1060).
Accolto come patrono, a Gregorio venne eretto un cenobio; si disse che un cunicolo lo collegava alla grotta: altra leggenda molto comune in Calabria.
Era ancora fiorente di monaci greci nel 1243, quando l’igumeno Gerasimo ebbe una contesa con il priore Pietro di Santo Stefano del Bosco, allora cistercense… e qui mi fermo: leggete, di U. N. Squillace 1243, un patto tra monasteri, pubblicato e come articolo e come estratto di Vivarium Scyllacense, 2001.
Risulta ancora attivo alla metà del XV secolo, quando riceve le inchieste di Atanasio Calceopulo, inviato dalla Curia papale.
Nel 1644 e ’45, Stalettì viene assalita da pirati turchi, che colpiscono anche il cenobio. E qui mi fermo un’altra volta: leggete, sempre di U. N., Padre Raimondo Romano, il culto di san Gregorio e le incursioni turche del 1644 e 1645, pubblicato e come articolo e come estratto di Vivarium Scyllacense, 1997.
Ormai senza monaci greci da tempo, il convento e le sue proprietà erano passati in commenda (affidamento). Tra i commendatori, si ricorda un Ludovisi Boncompagni, alto prelato bolognese, il quale intendeva costruire una grande chiesa: non riuscì, ma rimangono poderose arcate e altro.
L’attuale edificio mostra evidenti trasformazioni, anche se un occhio esperto e curioso può cogliervi qualche memoria e traccia del passato.
Una storia di almeno un millennio e mezzo, quella del convento; anche se non mi pare che gliene impipi, a Stalettì… come del resto, a tutta la Calabria, intellettuali in testa, la storia che non siano piagnistei e sociologia della domenica e appiccicaticce ideologie.
Ulderico Nisticò