Teatro, e riflessioni sul brigantaggio


Cominciamo a chiarire quello che NON vedrete il 31 a teatro:

– non vedrete, in un dramma ambientato nel 1868, raffazzonate e ricucite ideologie del 2019: sono briganti, non sindacalisti o politicanti;
– non vedrete nulla di politicamente corretto tipo buoni e cattivi;
– non vedrete altro che una vicenda profondamente umana.

Il fenomeno del brigantaggio è comune a tutto l’Occidente dei secoli XVIII e XIX, sotto diversi aspetti: cittadino e poliziesco come nelle letterature francese, inglese e russa; selvatico come nel West e in Argentina; politico, nel Meridione d’Italia.
Il brigantaggio postunitario meridionale ha due importanti precedenti: le Masse di Santa Fede del Ruffo che nel 1799 cacciarono i Francesi ancora “giacobini”; e il 1806, insurrezione contro i Francesi ormai tornati monarchici.

Nel 1860, l’apparato statale e militare del Regno delle Due Sicilie crollò quasi senza resistere, sotto i colpi, tutt’altro che potenti, di Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Nel decennio seguente, però, lo Stato italiano dovette combattere una vera e lunga guerra contro i briganti, feroce da entrambe le parti come accade sempre nella guerriglia.

I briganti provenivano da situazioni sociali e antropologiche molto variegate, e questo viene rappresentato nel nostro dramma:

– soldati borbonici: Pasqualone, Ciro…
– sudditi rimasti fedeli a Francesco II;
– delusi da Garibaldi;
– avventurieri e sentimentali: Totonno…

Storicamente, è vero che nelle bande si trovarono delle donne combattenti. Il nostro dramma è una storia al femminile, incentrata su Michelina de Cesare, capo di banda, che cadde in battaglia nel 1868, a 28 anni; con lei la figura tragica di Nunzia, quella apparentemente ilare di Carmela, la bonaria saggezza della serva Anastasia, la misteriosa Zingara…

Il brigantaggio finirà per morte o per stanchezza. Nulla a che spartire con mafia e ndrangheta, che sono fenomeni noumenicamente diversi.
Il colpo di teatro (senza colpi di teatro, sarebbe una scontata conferenza!) è l’ingresso in scena di due figure del tutto antitetiche proprio sotto l’aspetto antropologico: la giovanissima nobile piemontese Eleonora e la sua legnosa istitutrice, la francese madame de Ferbach. Entrambe rimarranno colpite, e in un certo senso conquistate, dal mondo barbarico dei briganti e dalla sua così arcaica umanità: “degli eroi di Omero”, dirà la Ferbach.

Michelina ed Eleonora, due mondi intrinsecamente opposti per età, condizione, convinzioni religiose, mentalità e linguaggio, s’incontreranno tra le pieghe di una comune e profonda femminilità.

Solo nel 1911, allo stupito nipote Filiberto, Eleonora racconta, per la prima volta, la sua vicenda; e, tra le righe del dramma, racconta tutta la storia d’Italia dal 1850 alla vigilia della Prima guerra mondiale.

Ulderico Nisticò


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