Terra inquieta – Per un’antropologia dell’erranza meridionale


Ogni libro di Vito Teti è una benedizione. Il suo racconto del Sud, dell’erranza meridionale, è fatto attraverso racconti antropologici. Anche questo è un libro letterario bellissimo come tutta la produzione di Teti. (Roberto Saviano)

terra inquietaVito Teti ha sempre un viaggio qua intorno da raccontare, un volto nascosto da nominare tra le righe di un saggio, un ritaglio di vita minuta da incorniciare con tutte le sue scoloriture. Terra inquieta è un libro che è tanti libri insieme, e tutti servono a qualcosa: uno racconta di calabrie mobili che crollano e franano; l’altro di uomini che sperano futuro cercando l’America, ma cercandola incontrano la storia; l’altro ancora di donne che ascoltano in sogno i consigli di San Giorgio per vincere ogni drago, gli uomini che i santi li portano a spalla per sacralizzare la polvere e il mare che siamo, di giovani laureati che partono perchè l’ultimo lavor non pagato è un’umiliazione ormai intollerabile. Ma in Terra inquieta c’è pure gente che resta tentando di salvare rovine e pilastri di cemento che si alzano al cielo, per farne qualcosa che vive. In questo vagare per spazi vasti e insieme profondi lo scrittore di Maledetto sud raccoglie ogni mollica, mentre l’antropologo de Il senso dei luoghi prova una teoria capace di dare forma al sussulto imprendibile della Calabria. Così nasce Terra inquieta, una storia di linee che ricostruisce la necessità e l’ossessione per la mobilità di una regione contadina eternata dal tempo circolare dei greci, spezzata dalle catastrofi che però sempre ritenta nuove circolarità per non mutare sguardo su di sé, infine la Calabria moderna, quella che naviga in linea retta verso un tempo migliore. I viaggi in America hanno costretto la Calabria alla storia, all’evidenza di un mondo che non resta uguale a se stesso, perchè solo il rischio di finire consente agli uomini e alle terre di vivere davvero, tra macerie e fioriture. Su gemme e crolli di Calabria si appunta allora lo sguardo largo di Teti, perchè l’autentica cura dei luoghi esige una paziente e rispettosa attenzione, una quieta fiducia nella fecondità di quello che pare tanto complesso e scomposto da non avere un verso per crescere, eppure un verso lo trova.

Vito Teti, antropologo e scrittore, si è occupato di paesi abbandonati, di nostalgie di migranti, di malinconie di poeti in fuga, di cibo e invenzione dell’identità. Storie minori di un Mezzogiorno che parte e che resta, studiato e raccontato in numerosi libri, tra cui: Storia dell’acqua. Mondi materiali e universi simbolici (a cura, Donzelli 2003; n.e. 2013) ), Il senso dei luoghi (Donzelli 2004, n.e. 2014), Storia del peperoncino (Donzelli 2007), Pietre di pane. Un’antropologia del restare (Quodlibet 2011), Il patriota e la maestra (Quodlibet 2012) e Maledetto Sud (Einaudi 2013). Di recente ha raccolto e curato gli scritti giovanili di Corrado Alvaro nel volume Un paese e altri scritti giovanili (1911-1916) (Donzelli 2014).


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