Treni ad alta velocità e piccole tappe


 Quando, nel lontano 1984, pubblicai la “Storia delle Calabrie”, credo quasi nessuno capisse perché Calabrie e non Calabria; un poco di più quando, nel 2009, diedi alla luce la “Controstoria delle Calabrie”, di cui la Rubbettino, senza il virus, avrebbe già diffuso la seconda edizione, comunque in arrivo. Calabrie, dunque, per ragioni storiche – leggete i libri – e per evidenti ragioni geografiche.

Al fine di andare da Sapri a Reggio, dovrebbe servire un treno ad alta velocità: alta, quindi, che so, 250 – 300 km h. Dovrebbe, perché siamo al progetto; e tristi esperienze insegnano che dal progetto all’esecuzione, nel Sud possono passare – letteralmente – secoli! Aspettate più giù di questo disadorno articolo.

 Intanto, il progetto, con fermate a Paola per Cosenza e Lamezia per Catanzaro, e a Villa per la Sicilia, nemmeno c’è, e già chiedono una fermata a Scalea e una a Vibo… e vedrete che…

 Io, amici, non ho mai guidato un treno manco a velocità bassissima, ma automobili sì; e so bene che un mezzo meccanico parte, ha bisogno di abbrivio, e se si ferma, deve ricominciare. Secondo me, se un treno parte a 300 da Sapri ma si deve fermare a Scalea, deve prima rallentare: perciò i 300 li toccherà qualche rarissimo minuto. Lo stesso, anzi peggio, da Scalea a Paola che sono vicinissime; da Paola a Lamezia; e da Lamezia a Vibo è pure salita!

 Per carità, io capisco le esigenze di Scalea e Vibo… eh, ma quelle di Praia, e di Amantea, e di Gioia… anzi, di Gioia soprattutto, dove c’è il porto… e di Palmi, no? Insomma, per usare un termine dei miei vecchi tempi, è un “accelerato”, un “locale”, non un TAV. Ecco cosa sono LE Calabrie, e non LA Calabria!

 E qui urge una lezioncina di storia. Nel 1839, S. M. Ferdinando II delle Due Sicilie tracciò, da Napoli a Portici, la prima ferrovia d’Italia: solo sette chilometri, ma meglio di niente. Nel 1860, morto Ferdinando e caduto il suo successore Francesco II, l’intero Regno vantava 99 km., manco 100, da Salerno a Capua; Garibaldi ne approfittò per arrivare a Napoli pacioso in treno invece che su glorioso ma scomodo cavallo. Per la storia, 99 km li numerava il solo Duca di Parma!

 Intanto il RDS aveva progettato una rete di treni che manco se li sognavano in America; e i progetti erano finanziati in soldi veri, e non di carta, d’oro. Soldi che rimasero a fare la muffa, e  i progetti stanno nei musei per l’infantile superbia retroattiva dei vari Pino Aprile. Il motivo fu esattamente quello di cui sopra, e lo racconta spiritosamente il De Cesare: ogni volta che spargeva la voce di un treno, che so, Napoli Bari, tutti i sindaci del territorio e tutti i baroni e tutti e il contrario di tutti andavano da Ferdinando a chiedere lo spostamento di qui e il passaggio sotto casa di là: e Ferdinando, noto bieco tiranno, li stava a cortesemente sentire invece di fare l’unica cosa seria che avrei fatto io, sbatterli nel più cupo carcere a pane e acqua, e pure poco; e cambiava i progetti; che poi cambiava perché l’altro sindaco… e il tiranno disegnava un altro trenino! I quali disegnini rimasero bei disegnini fino all’arrivo dei tiranni davvero, cioè i prefetti piemontesi. Fu così che, nel 1876, i binari partiti da Bari e da Reggio s’incontrarono, guarda un po’, a Soverato, detta ancora Santa Maria di Poliporto. È chiaro, l’esempio?

 Insomma, servono pochissime fermate, e servizi di collegamento con il territorio vicino: oggi, se uno si ferma nel Deserto dei Tartari che è la stazione di Vibo, per arrivare a Pizzo… ma che dico, per arrivare a Vibo città deve confidare nei miracoli.

 A proposito di binari, io, che sono deboluccio di stomaco, l’unica volta che presi il Freccia da Lamezia a Napoli, non mi dico cosa non mi successe. Già, non si possono far correre treni del 2020 sui gloriosi binari degli anni 1930.

 E la linea ionica? Ne ripareremo: per ora vi dico che, stando così le cose, essa può avere, al 90%, solo una finalità turistica: solo, ma importantissima; e allora, più fermate ci sono, meglio è. Alla prossima.

Ulderico Nisticò