Truppe italiane nel Baltico


Florestano Pepe

Florestano Pepe

 Obama è la dimostrazione di quanto sia sbagliato il razzismo. I suoi otto anni di presidenza provano, infatti, che un presidente USA nero è uguale ai presidenti USA bianchi: stessa inconcludenza, stesso servilismo nei confronti di Israele, stessa politica guerrafondaia; e manco ha fatto niente per i neri, le cui condizioni peggiorano e spingono all’anarchia, come le cronache evidenziano. Ora vorrebbe chiudere con una bella guerra, a somiglianza di Kennedy e dei Reagan e dei Bush; e minaccia la Russia. Sì, il presidente nero è ugualmente peggio dei presidenti bianchi. Leggete con attenzione questa premessa, prima di capire sbagliato o a metà. Però qui voglio parlare di storia.

 Siccome, fidatevi, è ancora più diffusa di quella della storia l’ignoranza della geografia, ricordo a me stesso che il Baltico è il mare che va dalla Danimarca a San Pietroburgo; attualmente diviso tra Danimarca, Germania, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Russia, Finlandia e Svezia. La Russia possiede anche una “enclave”, l’antica Koenisberg patria di Kant, oggi in russo Kalingrad. Da secoli tutti questi Stati e ora nascono, ora muoiono, ora rinascono; e patiscono contese territoriali e di nazionalità e guerre.  Un altro posticino ameno di questo agitato mondo!

 L’Italia manderà 150 soldati nel Baltico. E io qui, in attesa degli eventi, mi diverto a raccontarvi i precedenti. L’ultima volta che truppe italiane si trovarono da quelle parti fu durante la Seconda guerra mondiale. Non mi riferisco al CSIR o all’ARMIR, che operarono sul fronte ucraino; ma a un battaglione specialistico dotato di nebbiogeni, aggregato all’esercito tedesco in funzione di ostacolo all’aviazione sovietica e angloamericana. Il battaglione, stanziato in vari luoghi del Baltico occupato dalla Germania, aderì alla Repubblica Sociale, e combatté fino al 1945.

 Ma tutta questa premessa serve a tornare molto indietro nel tempo, e a parlare di storia calabrese e nostrana. Gioacchino Murat, provvisorio re di Napoli dal 1809, era sempre più in contrasto con l’imperiale cognato Napoleone, e mirava a rafforzare l’indipendenza sua e del suo fortunoso Regno, acquistandosi la simpatia di nobili e borghesi, e attraverso la formazione di un esercito nazionale. Quando nel 1811 Bonaparte attaccò la Russia, partecipò assumendo nuovamente il comando della cavalleria imperiale, e conducendo con sé trentamila uomini del suo Stato, ormai comandati da ufficiali meridionali. Tra questi brillava Florestano Pepe di Squillace.

 La spedizione di Russia finì come tutti sanno, con una disastrosa ritirata. Caddero in battaglia o morirono di freddo e di tifo molti italiani o dell’Impero (Napoleone aveva annesso alla Francia il Piemonte, la Liguria, la Toscana, il Lazio, Trieste e la Dalmazia), o del Regno d’Italia (re, Napoleone, eletto all’unanimità di voti 01), o del Regno murattiano di Napoli. Il giovane poeta reazionario Giacomo Leopardi condanna tali morti per lo straniero, nella canzone All’Italia.

 Sì, vero: ma, per l’eterogenesi dei fini, accadeva un evento di quelli inavvertiti ma di potente effetto, che si formava in Italia quella che mancava da due secoli, una classe militare degna di questo nome.

 Florestano Pepe con la cavalleria napoletana salvò Napoleone dai cosacchi, e lo scortò da Ochmiana a Vilnius, oggi capitale della Lituania; difese a lungo Danzica, una città tedesca che i Francesi avevano costituito chissà perchè in Stato; e, per inciso, insistettero nell’errore nel 1918, causando la Seconda guerra mondiale nel 1939. Ma torniamo a Florestano, che mostrò in queste gesta le sue qualità di generale.

 A seguito della convulsa politica di Murat, nel 1814 combatté poi in Lombardia contro il Regno d’Italia, nel ’15 a Tolentino contro gli Austriaci, trattò con il Borbone l’insincero accordo di Casalanza; riconquistò con moderazione la Sicilia ribella nel 1820; era capo di Stato Maggiore contro l’Austria nel 1821, ma le liti e i capricci dei generali, suo fratello Guglielmo in testa, fecero fallire i suoi buoni piani. Si ritirò a vita privata, e morì, indisturbato e onorato, nel 1851 a Napoli.

 La storiografia militare ne riconosce i meriti, e Catanzaro gli è intitolata un’importante caserma; a Squillace invece non lo vogliono sentire nominare, perché mette in ombra il fratello Guglielmo. Questi fu un politico e certo figura più attraente di avventuriero e romantico; ma come militare collezionò solo insuccessi, con la sola eccezione di Curtatore e Montanara. In compenso, se sbarcate a Venezia da Lignano, la prima cosa che si para davanti è un gigantesco monumento a Guglielmo; che è anche tra i protagonisti del romanzo del Nievo.

 Ora ci tocca tornare nel Baltico. Sarebbe carino se il Ministero chiamasse questa operazione con il nome di Florestano Pepe.

Ulderico Nisticò


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