Un conflitto interno in Italia: il Meridione


 C’è un conflitto, in Italia, che, grazie a Dio, non usa cannoni e missili, ma è a suo modo violento; ed è che nella stessa Nazione, nello stesso Stato e sotto le stesse istituzioni e leggi e nello stesso sistema economico, coesistono alcune aree di altissimo livello economico e produttivo, e altre classificate ufficialmente le ultime d’Europa; tra queste, onnipresente, la mia Calabria. Non richiede spiegazione che, in tale situazione, è l’intero organismo nazionale e statale che non funziona come dovrebbe.

 In nessun modo qui mostreremo indulgenza con il vizio intellettualistico meridionale, e calabrese in specie, di cercare un colpevole, uno qualsiasi: prima erano gli Spagnoli e i Borbone, oggi è Garibaldi; mai un contemporaneo e al potere; e mai a se stessi. Sbrigata questa incombenza, cerchiamo di comprendere alcune cause del profondo divario.

 Iniziamo sfatando dei miti, o piuttosto banali luoghi comuni: il Meridione non è e non fu mai il luogo favoleggiato dai poeti… e dalle guide turistiche di bocca buona e la sua estate di dodici mesi è il contrario del “clima”, che significa gradazione; senza scordare momenti di cattiva temperatura; e terremoti e alluvioni. È una terra di montagna con poche pianure; e molto spesso i monti precipitano sul mare, con rare spiagge e scarsa portualità; spettacolo fascinoso, certo, ma non ameno. Un tale territorio è storicamente vocato più all’allevamento che all’agricoltura; e più estensiva che specializzata, e con non molto valore aggiunto.

 Un tale territorio non favorisce l’urbanizzazione in grandi centri, ma piuttosto insediamenti disseminati; e rende non facili le comunicazioni, favorendo le identità a volte esasperate, come provano i diversissimi dialetti. La nascita e l’espansione dell’unica metropoli, iniziata con gli Angiò e perseguita dai viceré spagnoli, e tanto da dare il nome al Regno, non si è rivelata una buona idea!

 Le vicende storiche – ecco un’altra leggenda dotta da fugare – sono state tutt’altro che turbinose e agitate, se appena confrontiamo tutti i conflitti politici meridionali nei secoli con quelle della sola Firenze: il peggio che poté capitare a Sud è una scampagnata se pensiamo alla congiura dei Pazzi e all’arcivescovo Salviati impiccato dalla finestra! Ebbene, e non paia un paradosso, secoli di sostanziale tranquillità non sono fatti per stimolare Divine Commedie! Ed ecco un Meridione ricchissimo di filosofi e giuristi, e scarso di poeti; e i pochi, solipsisti accaniti.

 Ora si dovrebbe giungere alla conclusione che il Sud deve cambiare… e ci hanno provato, più volte, alcuni fantasiosi intellettuali: nel 1798-9, sognando una rivoluzione francese che la quasi totalità del popolo non aveva alcuna intenzione di fare; negli anni 1970, distribuendo qui e lì fallimentari fasulle costosissime industrie di modello milanese.

 E invece il Sud deve restare com’è, perché il sommo Giovan Battista Vico c’insegna che le cose, fuori dalla loro natura, non durano. Il Vico, chi non lo sapesse, era napoletano.

 Non ci serve, dunque, scopiazzare modelli altrui, ma riflettere sul nostro, quel che va bene e quello che non va.

 Non va la sproporzione tra il terziario, spesso, spessissimo parassitario, e i produttori. Bisogna produrre di più e passare meno carte; più contadini e operai, e meno, menissimo “piante organiche”.

 Operai e contadini, ovviamente, del 2022, non roba arcaica: perciò occorre alta formazione professionale con avviamento al lavoro. Urge dunque un ripensamento del sistema scolastico. Ottimo inizio, se abolissero il valore legale dei titoli… che tanto già non se li fila nessuno.

 La produzione deve essere quella della natura delle cose, senza forzature destinate all’insuccesso; e senza carrozzoni zeppi di dirigenti!

 Servono soldi? Certo, ma a condizione che vengano spesi fino all’ultimo centesimo.

 Serve cultura? Certo: ma che volete, in una Regione che investe tre milioni di euro per il 50mo dei Bronzi, e oggi, 27 maggio, mio compleanno, non ha ancora fatto un non posso dire perché siamo in fascia protetta. Verso il 30 dicembre, per non perdere il denaro, s’inventeranno un festival della frittola, e un premio letterario vinto per caso da scrittore antimafia segue cena, però amico di qualcuno.

Ulderico Nisticò