Un film di metateatro


 Dopo Il giovane favoloso, con cui Mario Martone ha liberato il Leopardi e dagli schemi scolastici e da utopie di iscriverlo d’ufficio al marxismo, ecco un’altra sua avventura nella biografia, con la figura di Edoardo Scarpetta (1853-1925), attore ed autore di teatro napoletano comico; e dalle vicende umane e sentimentali diciamo complesse e a loro modo sorprendenti, ma che hanno lasciato una lunga eredità nel teatro e nel cinema del Novecento.

 Ottima l’interpretazione di Toni Servillo, attorniato da attori dignitosi. Colpisce in modo particolare come Martone abbia trovato, in due bravi attori poco più che bambini, le fattezze e persino il carattere dei futuri celeberrimi Edoardo e Peppino, e in qualche modo anche Titina.

 Perfetta la ricostruzione della Napoli borghese di fine XIX e primi XX secolo, e del suo ambiente culturale, teatrale, musicale di livello altissimo: altri tempi, è il caso di dire! Compaiono, tra gli amici e nemici di Scarpetta, figure quali Di Giacomo, Bovio, Croce, d’Annunzio…

 I dialoghi sono spesso in napoletano, quello detto “a parlata d’e nobili”, mista d’italiano; ma si rendono utili le didascalie.

 Vero protagonista del film è il teatro, o più esattamente il metateatro, cioè il teatro che rappresenta se stesso, portando lo spettatore all’interno delle dinamiche delle prove, delle liti, delle scene, degli umori del pubblico, dei conflitti tra autori: nel film, ma anche nella realtà, la lunga questione giudiziaria tra Scarpetta e d’Annunzio per il diritto alla parodia.

 Chi fa teatro, riconosce quello che il pubblico non sa: la fatica del buon testo, la lettura, l’interpretazione… e se succede un incidente, la bravura dell’improvvisare, e tenere lo stesso la scena. O, come ama ripetere chi scrive queste righe quando fa teatro, il falso che è più vero del vero.

 Ecco un esempio di buon cinema italiano.

Ulderico Nisticò